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Mi interrogo sulla mentalità vincente mentre penso al tifo del San Paolo che ormai sembra il teatro San Carlo

Mi interrogo sulla mentalità vincente mentre penso al tifo del San Paolo che ormai sembra il teatro San Carlo

Dopo qualche mese di doveroso silenzio per lasciare a tutti il posto per la propria opinione (sono stato proprio io a scrivere in tempi non sospetti un pezzo dal titolo “il Napoli di Sarri già mi piace”, cosa che confermo nonostante il punticino in classifica), mi ritrovo alla tastiera per dire qualcosa a latere del bel pezzo di Max Gallo che ha preso spunto dalle parole di Arrigo Sacchi a proposito della mentalità vincente.

Nutro seri dubbi sul concetto puro di mentalità vincente come è inteso dai molti, che vorrebbero per forza farla diventare qualcosa di concreto, di tangibile, qualcosa che si possa toccare o addirittura comprare come il famoso “amalgama”. La mentalità vincente è una cosa che striscia, che c’è nell’aria o nelle corde è un’idea, un’astrazione direbbe Gaber, ma che ostinatamente si attacca a coloro che già vincono con continuità.

Può sembrare scontato citare il Conte Lapalisse o più prosaicamente Max Catalano ma se abbiamo fatto nostra l’espressione che “i soldi vanno da chi li ha già”, allora abbiamo fatto scopa. Qualcuno potrà mai giurare che un imprenditore come Aurelio De Laurentiis, squalo del mondo della cinematografia, non abbia una mentalità per forza vincente o che lo stesso faccia spallucce quando viene schiaffeggiato (sul campo ovviamente) dai colleghi del Chievo o dell’Empoli o del Sassuolo? Riesco solo ad immaginare la sua schiuma o i suoi occhi di brace. Veniamo poi ai giocatori.

Abbiamo tra le nostre fila diversi spagnoli con il Dna vincente. Qualcuno potrà mai credere che la città di Napoli abbia la capacità di mutare l’acido desossiribonucleico di un argentino o blandire la garra uruguagia? Ovviamente no. Siamo tutti d’accordo o quasi se diciamo che il Napoli ha vinto poco e tutto concentrato in poco tempo. E poi anche in quel caso si è vinto meno di quello che ci si potesse aspettare, vista l’enorme fortuna di avere tanti campioni tutti insieme negli stessi anni. Io per esempio sono tra quelli che pensa che il Napoli ha sicuramente sprecato le possibilità per poter aggiungere almeno altri due scudetti, almeno un’altra coppa di qualsiasi lignaggio ed almeno una semifinale di coppa campioni (poi si sa le partite secche non sempre riescono con il gol).

Giova però ricordare che, soprattutto per quest’ultima manifestazione, all’epoca non c’erano i gironi che sicuramente favoriscono le squadre che giocano maluccio una o due partite salvo poi recuperare nel corso del torneo. All’epoca no. Se non stavi in forma andavi a casa al primo o secondo turno e non è una bestemmia dire che il Napoli alla prima prese un Real quasi imbattibile, facendo una partita stratosferica al Bernabeu non saputa ribaltare al ritorno con uno spentissimo (amen) Maradona.

Ma voglio lasciare questa punta di nostalgia per ributtarmi nel presente per definire un’altra questione molto dibattuta. Quella dell’essere migliore degli altri, di avere il miglior mare, la migliore pizza, il più bel tifo e via discorrendo. Ovviamente ero presente nella gara con la Samp e chi c’era non può dire diversamente: per lunghi tratti sembrava di essere al San Carlo durante il secondo atto della Turandot. Anche con il Napoli in vantaggio il silenzio era imbarazzante un silenzio che ormai ha mietuto vittime nei noti settori dei distinti e delle tribune ma che ha sicuramente scalfito pesantemente (almeno per ora) anche le due curve. La mancanza del tifo specializzato ed organizzato quello cioè che contagia anche i settori più snob ha fatto il suo triste ingresso nello stadio San Paolo. Ed almeno per ora le cose purtroppo non credo cambino. I risultati c’entrano poco. Il Napoli stava giocando un calcio spettacolare gol, palo di Lorenzo, altro gol, eppure il silenzio ci attanagliava.

Anche io sono attanagliato da un sospetto: per spiegare una mentalità vincente si coniano tanti termini o ci si lancia in tante iperboli.

Ma la domanda è questa, soprattutto dopo aver notato che, nel calcio moderno, anche le piccole, sprezzanti del risultato, hanno abbandonato difesa e contropiede a favore di un calcio propositivo: e se la mentalità vincente non foss’altro che pura materialità ovvero vincere una partita dopo l’altra? (Lapalisse e Catalano, perdonatemi).
Vincenzo Matteo

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