Il mistero del Napoli a corrente alternata. Ma il campionato non è finito

“Il campionato del Napoli finisce ad Empoli. Non resta che l’Europa League.” Così conclude il suo pezzo lucido ed impietoso il grandissimo Mimmo Carratelli. Con serena crudeltà . Ed ancora Lui osserva “Addio posti-Champions. Abbiamo scherzato. Il secondo posto della Lazio a +6, il terzo della Roma a +5. Fine dell’avventura. Il Napoli stramazza contro un […]

Il campionato del Napoli finisce ad Empoli. Non resta che lEuropa League.” Così conclude il suo pezzo lucido ed impietoso il grandissimo Mimmo Carratelli. Con serena crudeltà .

Ed ancora Lui osserva “Addio posti-Champions. Abbiamo scherzato. Il secondo posto della Lazio a +6, il terzo della Roma a +5. Fine dell’avventura. Il Napoli stramazza contro un Empoli brillante, veloce, che gioca a memoria, si compatta nella sua metà campo, conquista palla e vola all’attacco. Il Napoli gira a vuoto e torna a casa umiliato (4-2).”

Queste le amare considerazioni della penna leader del Napolista.

Eppure mi sale alla gola come un groppo una domanda: perché? Perché il Napoli passa in un battibaleno dal gioco più bello e penetrante del campionato ad una esibizione disgustosa. Perché?

Qualcuno accusa il turn over. Certo, nemmeno io lo amo. Ma ieri di quale turn over parliamo se i tre assi Higuain, Callejon ed Hamsik erano in campo e al posto di Insigne c’era Mertens non esattamente una riserva? Certamente non possiamo accettare la tesi che basta sostituire Albiol con Koulibaly per vedere la squadra schiantata. Allora basterebbe una squalifica per cambiare il volto di una compagine. Siamo seri il turn over, almeno ieri, non “c’azzecca”.

La tesi che più mi convince è un’altra. Questa squadra ha la stessa malattia del suo giocatore più rappresentativo, Marek Hamsik. È un albero di Natale. Si accende e si spegne per effetto di un preciso limite di personalità complessiva. Limite di personalità complessiva che è la risultante della sommatoria dei limiti individuali presenti in tutti i campioni del Napoli. Anche Higuain come Hamsik si accende e si spegne,. Ed anche Mertens e Callejon. Spesso Benitez nello spiegare le sconfitte dà la responsabilità ad un errato “approccio” alla partita. Anche ieri con l’Empoli la squadra ha sbagliato “l’approccio”. Ma che cosa determina l’approccio se non la concentrazione con la quale scendi in campo? Da che dipende questa evanescenza della squadra, questa fragilità psicologica oserei dire patologica della squadra azzurra? Ritengo dalla mancanza, in particolare a centrocampo, di giocatori di peso e personalità che sappiano ribaltare i temi psicologici della partita. Che sappiano trovare in campo le contromisure a un Empoli brillante, veloce, che gioca a memoria, si compatta nella sua metà campo, conquista palla e vola all’attacco. Che sappiano dettarei tempi e organizzare la reazione al gioco avversario. Piantandosi in mezzo al campo con la fronte alta come i giocatori veramente di razza. Non lo sa fare Inler, non lo sa fare Gargano né Lopez. Non lo sanno fare Albiol e Koulibaly venendo da dietro, alla Franco Baresi (absit iniuria verbis!). Credo purtroppo che a questi limiti strutturali non vi sia 4-2-3-1 o 5-3-2 che possa porre rimedio. Non vi sia tecnico che per quanto bravo ed esperto possa porre rimedio. Non vi sia pedigree di allenatore che possa compensare una personalità pallida e sbiadita.

A Benitez, nell’ipotesi che resti a Napoli (come fortemente mi auguro perché non amo i cicli brevi), chiedo di utilizzare la sua consolidata esperienza per portare qui da noi almeno un uomo-squadra. Un giocatore di classe e personalità che faccia sentire il suo peso partita per partita con continuità. A De Laurentis che è l’uomo, non lo dimentichiamo mai, che ha portato a Napoli i Benitez, gli Higuain, i Callejon etc dico con D’Annunzio (in vista della campagna acquisti della prossima stagione) memento audere semper.

Al grande Mimmo, infine, dico il campionato del Napoli NON finisce ad Empoli. Non resta soltanto l’Europa League. E con Francesco I di Francia tutto è perduto fuorché l’onore.
Guido Trombetti 

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