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La fede azzurra di don Marco: «Dopo Doha feci suonare le campane. E ricordatevi che la zebra non salì sull’arca di Noè»

La fede azzurra di don Marco: «Dopo Doha feci suonare le campane. E ricordatevi che la zebra non salì sull’arca di Noè»

La nostra unica fede
la nostra unica fede
la nostra unica fede
si chiama Napoli…
cantano in curva gli ultras. Come si fa a non avere fede nel Napoli, ce l’ha spiegato Don Marco Ricci, sacerdote della Parrocchia di Santa Maria della Consolazione a Ercolano. «Il Napoli è azzurro come il Manto della Madonna», così ci accoglie nella sua sagrestia azzurra dove accanto agli arredi sacri spicca subito il ciuccio. «Prima era peggio, ho tolto tutte le tazze del Napoli e le ho regalate ai ragazzini della comunità, ho conservato solo il ciuco che mi hanno fatto i ragazzi della falegnameria del Don Orione e questa sciarpa che Lavezzi regalò a un ragazzo disabile della comunità che ora non c’è più. Ma ho anche il calice per dire Messa azzurro e i paramenti con la croce azzurra. Pensa che sono andato fino a Gerusalemme per trovarli e ci dico Messa quando posso. La mia è una passione irrefrenabile per il Napoli».

Si definisce così Don Marco, tifoso, lui che di battaglie ne ha fatte e ne fa tante, impegnato non solo per i fedeli della sua parrocchia, ma per tutti i problemi legati all’inquinamento e alle discariche della Terra dei fuochi.

Una parrocchia è come una grande famiglia, come si fa a conciliare gli impegni canonici con quelli azzurri?
«Eh, sto incontrando non poche difficoltà con tutti gli impegni. Giovedì scorso, ad esempio, avevamo il corso prematrimoniale, lascia stare che avevamo fatto risultato in Turchia e quindi eravamo già qualificati, ma tra i posticipi del lunedì, gli anticipi del sabato e le partite di Europa League e la Coppa Italia, ci sarebbe da rivedere il calendario liturgico, è diventato un problema organizzare le attività in parrocchia. Vedi, porto sempre con me l’Ipad (sullo sfondo intravedo lo stemma del Napoli) con Skygo e l’applicazione di MediasetPremium, perché spesso non riesco ad arrivare a casa per guardare le partite e mi metto qui in sagrestia».

E quando il Napoli gioca la domenica alle 12.30?
«È un guaio. So che i parrocchiani si aspettano che abbrevi la funzione delle 11.30 e invece io mi dilungo apposta. Qui sono circondato da “nemici”, ci sono juventini, interisti e perfino romanisti. Il parroco della parrocchia accanto, mio buon amico, è juventino. Quando abbiamo vinto la Supercoppa a Doha, ho fatto suonare le campane della parrocchia a festa per celebrare la vittoria, abbiamo pubblicato il video sul mio profilo di facebook. Quella è stata una vera avventura, le campane erano il minimo, prima hanno deciso di posticipare la partita e poi siamo arrivati ai rigori, io avevo la novena di Natale in parrocchia alle 21. Alla fine eravamo una trentina di noi asserragliati in sagrestia per finire di vedere la partita e alle signore che mi aspettavano in chiesa ho detto loro di dire un rosario in più nell’attesa. È stata una scena bellissima».

Quindi lei è un tifoso “divanista”, come si definiscono i tifosi da casa.
«Assolutamente no, appena l’orario delle partite me lo permette sono allo stadio con un mio caro amico e collega. Non siamo un’eccezione, non immagina quanti sacerdoti vanno allo stadio. I posticipi serali sono l’ideale per me, il San Paolo non è proprio vicino, anzi, si trova molto traffico e poi per entrare è sempre complesso, per non parlare della questione posti. Oramai siamo costretti ad andare in Tribuna Nisida perché almeno lì rispettano i posti assegnati anche se non si vede bene. È un peccato che non ci sia più rispetto e che nessuno faccia rispettare le regole, questo di certo non invoglia le persone ad andare allo stadio. Nella partita che giocammo col Siena in Coppa Italia, tre anni fa, una ragazza della parrocchia che doveva venire con noi si ammalò e pensò di regalare il suo biglietto ad un’altra ragazza della comunità. Sapevo che ci sarebbero stati problemi e infatti andai io stesso dagli steward all’ingresso a spiegare che lei non era il titolare del biglietto ma che eravamo un gruppo della parrocchia e se gentilmente potevano fare un’eccezione. Mi dissero che per motivi di ordine pubblico non era possibile. Loro hanno ragione, ma bisogna anche saper valutare quali sono i casi e quando l’ordine pubblico è davvero a rischio. Così ho chiesto di parlare col capo steward e gli ho detto se, per motivi di ordine pubblico, poteva gentilmente accompagnarmi al mio posto, fila e seggiolino indicati sul biglietto e far alzare chi, sicuramente, lo stava occupando. Così si sono risolti i motivi di ordine pubblico e la ragazza è entrata allo stadio. Comunque credo che De Laurentiis preferisca uno stadio per pochi ma buoni, i numeri non gli interessano». 


E la sua tenuta da stadio? Porta i paramenti azzurri che mi ha fatto vedere?
«Vado in borghese, non per motivi particolari, solo perché talvolta le persone si sentono inibite se sanno che c’è un prete vicino, però se sento qualche bestemmia tiro le orecchie ugualmente. Proprio a Napoli-Torino di quest’anno, quando Insigne non faceva altro che sbagliare un tiro dopo l’altro, prima di riuscire a segnare e mettersi a piangere, uno dei miei vicini di stadio disse “Ci vorrebbe un prete ricchione per farlo benedire”, mi strappò un sorriso e gli risposi che per il prete ero a disposizione, per il resto purtroppo no».

Come nasce la sua passione?
«Nell’infanzia, come per tutti i ragazzini, ricordo ancora a memoria la prima mitica formazione del mio Napoli (la recita a memoria, ndr):Castellini, Bruscolotti, Citterio, Ferrario, Krol, Dal Fiume, Celestini, Vinazzani, Diaz, Criscimanni, Pellegrini. Si lottava per non andare in B. Poi la prima volta allo stadio fu in un Napoli-Roma 1-1, gol di Tovalieri e Maradona. Come si faceva a non innamorarsi di quel Napoli. Oggi ci sono Higuain ed Hamsik che sono il cuore della squadra, due campioni, li ho anche al fantacalcio. Non sono un tifoso acritico, ma uno di quelli cui piace innanzitutto il calcio innanzitutto, sul mio profilo facebook dopo ogni partita faccio anche un breve commento tecnico della partita. Non ci vado leggero ma bisogna saperci scherzare su. Prima della partita del Torino col Bilbao, ad esempio, scrissi che se avessero vinto i granata sarei diventato buddista. Qualcuno all’indomani è venuto a salutarmi».

E di Benitez cosa ne pensa?
«Benitez mi piace, ma è un allenatore europeo, un allenatore che vuole vincere in ogni competizione in cui è impegnato, fosse pure la coppa del nonno. Ha un’idea diversa del calcio rispetto a quella che c’è e c’è sempre stata a Napoli, lui ha uno stile e vorrebbe trasmetterlo alla squadra e a tutto l’ambiente, ma è un processo difficili, che non avviene dall’oggi al domani. Secondo me appena è sbarcato a Napoli ha detto tra sé e sé: dove sono capitato».

Prima di salutarci, don Marco si rivolge scherzosamente ai ragazzi con un ammonimento: “ricordatevi che la zebra non è salita sull’arca di Noè, che il manto della Madonna è azzurro e che ha schiacciato con un piede il serpente interista, ha sconfitto il diavolo milanista e che Gesù entrò a Gerusalemme su un ciuccio».
Francesca Leva

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