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Michele, napolista di Barcellona: «Qui il mare è un investimento»

Michele, napolista di Barcellona: «Qui il mare è un investimento»

È nato al Petraio (“il mio eremo”), ha 42 anni, una figlia, Ada, di 2, un altro piccolo in arrivo e una compagna nata a Parma, Margherita. Avvocato internazionalista e proprietario di un’agenzia di appartamenti turistici, vive in Carrer de Casp, a Barcellona. È Michele Scardaccione, soprannominato Bamba, perché ha la testa perennemente tra le nuvole. Nella città di Gaudì si è trasferito quattro anni fa: “Barcellona mi è sempre piaciuta. Sono venuto a trovare degli amici, è finita che ci ho messo su famiglia e lavoro”, sorride. Parla di un’eccezionale qualità della vita e della presenza del mare che gli fa sentire aria di casa, ma una cosa è avere il mare, un’altra viverlo: “Da noi il mare si percepisce in ogni angolo, da via Caracciolo ai Camaldoli, in ogni faccia, quella degli scugnizzi che si tuffano a Mergellina o del professionista che appena può scappa alla Gajola. È un richiamo irresistibile. Qui, invece, è solo un investimento per turisti”.

Di Napoli gli mancano “i sorrisi generosi, l’ironia brillante e a volte sopra le righe, la socialità della gente, i pescivendoli aperti la domenica con le tinozze strabordanti polpi e frutti di mare vivi”. Adora gli spaghetti con i “taratufi” e la frittata di maccheroni, che un po’ ritrova nella tortilla di patate spagnola. Gli piace il Natale, perché durante le feste torna in città e ritrova la famiglia e ha un debole per la leggenda del monaciello. Verso Napoli sente un debito di riconoscenza per averlo formato e coccolato e averlo reso quello che è: “Il sapermi adattare a qualsiasi realtà e sapermi confrontare lo devo alla mia città.

Uno dei pilastri della sua identità napoletana è il Napoli, “mi consente di sentirmi a casa anche quando sono lontano: quando vado al bar mi sembra di stare in un vicolo napoletano”, dice. La sua prima partita al San Paolo fu a 7 anni, il primo abbonamento nel 1980, poi, con l’arrivo di Ada, due anni fa, ha detto basta. Lo stadio di Fuorigrotta, per lui, è il “campo”, un tempio: “Andarci è una sofferenza, ma è li che si deve stare. Per il rito collettivo che darà gioia se si completa con il sacrificio dell’avversario o sprigionerà energia negativa in caso di sconfitta”.

Il suo rapporto con il Napoli di Benitez è di orgoglio ed esaltazione. Considera Rafa un uomo che sta cercando di insegnarci che la normalità e la cultura del lavoro sono le basi indispensabili su cui costruire ogni successo, “che l’echilibrio è più importante di un exploit improvviso, che competere prevede momenti difficili e che la vittoria non è mai un diritto”. È convinto che Higuain sia il giocatore azzurro più forte dai tempi di Careca e gli piace David Lopez, non appariscente ma perfetto per il gioco di Benitez.

La partita la vede in un bar del centro, il Blau, con altri 25 tifosi della colonia partenopea di stanza a Barcellona, “circondato da criticoni e timorati di Mazzoleni”. Al primo gol del Palermo mani nei capelli e bestemmie a Rafael (“ho perso due anni di vita”): va a fumare una sigaretta continuando a imprecare e a inneggiare ad Andujar. L’imprescindibilità di Gargano riempie l’intervallo consumato, insieme a una birra, sul marciapiede fuori al Blau. Al terzo gol le sigarette in solitaria non si contano più e parla di disastro. Con il gol di Gabbiadini un po’ si riaccendono le speranze che succeda anche a noi quello che successe al Palermo all’andata: rimontare un 2-0. Ma non succede. La serata a Barcellona è mite: i giovani si buttano nella movida, Michele torna dalle sue donne sonnolenti. Farà finta che questa partita non ci sia mai stata. Fino alla prossima.
Ilaria Puglia

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