Mi sarei aspettato un pezzo di Massimiliano Gallo sulle vicissitudini delle milanesi, ma temo che l’inaspettata serie di tre vittorie consecutive del Napoli lo abbia obbligato a concentrarsi sulla banda di Rafa; quindi sono costretto a buttare giù due righe da Bruxelles, dove sono temporaneamente per lavoro.
L’Inter e il Milan sono a mio parere vittime di problemi tipicamente italiani, che per il momento non toccano il Napoli. Mentre il Napoli – un’eccezione a Napoli – basa la sua forza sul lavoro paziente e quotidiano, sui piccoli ma costanti miglioramenti, sugli acquisti mirati, Milan e Inter cercano di salvare la stagione attraverso prestiti e parametri zero, rischiando tutto con una serie di “pagherò” per appagare l’ansia dei loro tifosi.
L’Inter aveva, l’anno scorso, iniziato un processo di rifondazione con Mazzarri: i mantra erano, giustamente, dopo la sbornia Mourinho, acquisto di calciatori di prospettiva, alleggerimento del tetto ingaggi e programmazione a lungo termine. L’entrata in società di un investitore oculato come Thohir, un uomo d’affari con capitali e capacità organizzativa, sembrava un salutare taglio con le follie (ed il provincialismo bauscia) di Moratti.
Ma non appena i tifosi si sono ribellati per mancanza di risultati, chiedendo nuovamente l’intervento paternalistico e generoso del Re dalle mani bucate (Moratti) – fomentati da una stampa milanese davvero indecente – Thohir si è trovato da solo in una tipica situazione italiana: solo feste, farina e forca avrebbero potuto salvarlo dal linciaggio pubblico, e il povero tycoon indonesiano c’è dovuto stare.
Il resto è storia recente, con Shaquiri e Podolski – comprati e ancora non pagati – incapaci di cambiare il volto ad una squadra in cerca di identità, ed altri buoni giocatori completamente persi. L’Inter si aggrappa ora al ritorno di Santon (probabilmente ancora un prestito con obbligo di riscatto) e attende con ansia il FFP review a fine stagione. Davvero poco per sperare nella Champions.
L’incubo è dovuto principalmente alla fretta di accontentare i tifosi (abituati a Mourinho e Ibra) ma è soprattutto una storia tipicamente italiana – la ricerca della scorciatoia, del miracolo, dello “stellone”. E pazienza se intanto si accumulano debiti, si aggirano norme, si strapagano giocatori mediocri. L’importante è evitare le critiche della stampa – i giornalisti pallonari italiani, non solo quelli napoletani, sono di una mediocrità e di un pecoronismo disarmante – e generare consenso.
All’Inter non hanno capito – o forse non vogliono capire – che le vittorie iniziano dalla dirigenza, che programma, investe, costruisce (Bayern, Manchester United) e che la squadra che gioca in assoluta tranquillità è quella a cui viene dato tempo di imparare.
Il Milan se è possibile sta ancora peggio. Ma ha un problema diverso, seppure anch’esso tipicamente italiano: la mancanza di rinnovamento generazionale del management.
In una grande azienda, il grande manager – e Berlusconi per un periodo lo è stato per davvero – deve ad un certo passare la mano, possibilmente al migliore prospetto possibile. E invece il familismo italiano ha fatto davvero credere che Barbara Berlusconi fosse una grande organizzatrice: la stampa, ancora una volta, ha fatto il resto incensandola come un volto giovane, nuovo e dimenticando che è lì solo perché è la figlia del padrone, non per le sue idee o capacità. Questo non salva Galliani, ormai un ectoplasma di dirigente: magari un grandissimo a suo tempo, ma magari un quarantenne, un volto fresco, un approccio nuovo?
Purtroppo però pure Berlusconi ten’ famiglia, e allora ecco gli acquisti di massa, giocatori rubati a squadre derelitte (Paletta), ex fatti tornare precipitosamente (Antonelli) e altri attaccanti (Destro) mentre la squadra non ha un regista ne’ un terzino decente (a volte gioca Bonera, che io pensavo fosse pensionato da tempo).
Eppure, sia nel caso dell’Inter che del Milan, sono incredibilmente i giornalisti “amici” che insistono nel dare false speranze, fantasticando di improbabili rimonte mentre al momento Lazio, Fiorentina, Napoli e Sampdoria sono dai 5 ai 10 punti avanti al Milan e l’Inter ha 26 punti, 8 in più del Chievo terz’ultimo. Parlano di bond da 300 milioni (ma sottoscritti da chi? Forse da banche compiacenti? Ce ne sono ancora? Io se sapessi che la mia banca presta i soldi all’Inter – in passivo di bilancio da vent’anni – ritirerei i miei soldi immediatamente…) e celebrano giocatori giovani che a Napoli o a Torino farebbero panchina per mesi prima di esordire (Brozovic), o il ritorno di un eterno giovane talento (Cerci) che ha fallito all’Atletico, incendiando una piazza già di per se impaziente.
E qui esce fuori un altro difetto dell’italianità peggiore: la mancanza di senso della realtà economica, il digiuno di cifre, l’incapacità di comprendere la finanza e i bilanci da parte dei cosiddetti “addetti ai lavori.”
Un disastro totale.
Certo, anche a Napoli la struttura societaria è debole e senza ricambi. De Laurentiis pure ha imbottito la società con familiari di discutibile genio: però alla fine comandano lui, Bigon e Benitez, il che va più che bene per il momento. Il problema si porrà, se mai, quando questa struttura di ferro da piccola azienda per un motivo o per un altro dovesse smembrarsi: all’orizzonte non si vede un’organizzazione che possa sopperire e l’unica soluzione sarebbe la vendita della società.
E naturalmente questa struttura impedisce un vero salto di qualità che non è l’azionariato diffuso (i napoletani non hanno abbastanza soldi da mettere nel Napoli, non comprano abbastanza magliette, non hanno quella che si chiama “pride of ownership”), ma una proprietà moderna, con una struttura decisionale collegiale che si rinnova automaticamente. Ma questa temo sia, per la nostra piccola piazza (Napoli è una piccola piazza, inutile girarci intorno – una volta vinti 10 scudetti potremo atteggiarci a potenza del calcio) un’utopia.
P.s. La Gazzetta oggi esalta il mercato del Napoli, come se fossero stati Gabbiadini e Strinic a cambiare la squadra, e non viceversa la struttura della squadra e la bravura dell’allenatore ad aver facilitato il loro ambientamento. Pensate che Gabbiadini all’Inter o al Milan avrebbe avuto questo impatto?
Alfonso Ricciardelli