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New York dorme e Luca esulta in silenzio per non svegliare la moglie

New York dorme e Luca esulta in silenzio per non svegliare la moglie

Nato trentacinque anni fa a Sassuolo da padre di Porta Capuana e madre di Tramonti, si è trasferito a New York nel 2009, dove ha sposato Ellen, una russa naturalizzata americana. È Luca Dombrè, napolista in una città dalle mille etnie dove, in attesa di tornare a insegnare lingue, lavora in un ristorante italiano di Manhattan. A New York è sbarcato da turista subito dopo la laurea in Lingue, ospite di alcuni parenti italo-americani. Il passo per fare il visto e rimanerci è stato brevissimo.

Vive a Forest Hills, nel Queens, il quartiere in stile europeo dei Ramones, di Paul Simon e Art Garfunkel, dove vive Pete Parker, a due isolati dallo stadio dove un tempo si giocavano gli US Open di tennis.

Racconta che il suo rapporto con New York ha vissuto due fasi: una di inevitabile trasporto per una città multirazziale “pronta ad offrire possibilità e tentazioni continue”, la seconda, più razionale, in cui ha scoperto “una metropoli fatta di chiaroscuri violenti e contraddizioni insanabili”, in continua attività (“The city that never sleeps”), dove, per sopravvivere, devi seguire ritmi forsennati “ed essere sempre in competizione per emergere”, uno stile di vita alienante e disgregante.

Dall’ultima volta che è stato a Napoli sono passati cinque anni. Ogni volta che torna lo stupisce “la sensazione del contatto con una realtà fatta di dimensioni sensoriali uniche, avvolgenti, una passione del vivere che trasuda da ogni angolo di strada”. Da un ragazzo nato e cresciuto nella provincia emiliana e poi emigrato a New York non ti aspetteresti che la tradizione napoletana cui è più legato sia il presepe, e invece lo assembla puntualmente anche oltre oceano, ogni Natale.

La sua passione per il Napoli risale a quando aveva cinque anni, quando Maradona arrivò a Napoli e tutto cambiò, ma racconta di aver sempre sentito un’attrazione per quella maglia azzurra così diversa da tutte quelle delle altre squadre, un richiamo genetico.

La sua prima partita al San Paolo, in curva B, è stata Napoli-Udinese 1-0, nell’anno del secondo scudetto. Per lui il San Paolo è “quel luogo che puoi chiamare casa in qualunque parte del globo ti trovi: basta che sia acceso un piccolo schermo che lo inquadra e ci sei idealmente dentro”.

Del Napoli di Benitez gli piace come il tecnico stia provando ad andare oltre il calcio e a trasmettere un approccio culturale e professionale per far crescere insieme la squadra e la città. Ha fiducia in Gabbiadini, grande ammirazione per Gargano, una predilezione particolare per Mertens e spera che Callejon non venga sacrificato nel mercato estivo.

La partita, in genere, la vede a Manhattan, nella sede del Napoli Club NYC, di cui è co-fondatore, presso il ristorante napoletano Ribalta. Oggi no. Mentre noi, in Italia, ci apprestiamo a metterci a tavola per pranzo, a New York sono le 6,30 del mattino e Luca si alza faticosamente dal letto, in piena fibrillazione azzurra: l’obiettivo è restare in silenzio qualsiasi cosa accada, per non svegliare Ellen. Segue la partita sul canale BeInSport che possiede i diritti della Serie A. Fuori albeggia. Né un caffè né un accenno di colazione: al gol di Higuain è completamente sveglio, esulta in silenzio, stringe i pugni e pronuncia solo un “sì” a voce sommessa. Alla fine, contento per la vittoria di cinismo contro una buona Lazio, torna a letto: “Vado a fare un riposino a cuor leggero”, dice. A New York sono passate da poco le 8, la temperatura è di -1, piove leggero. Non siamo poi così lontani: da noi è tempo di controra sul divano. Fuori diluvia. La felicità è la stessa.
Ilaria Puglia

 

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