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L’aborto normativo di Tavecchio non avrà vita lunga

L’aborto normativo di Tavecchio non avrà vita lunga

Un antico detto napoletano, di grande spessore concettuale, ammonisce che è finita la pazziella mmano e creature.

Nel nostro caso, la Figc, oltre ad essere storicamente una lobby legata a doppio filo ai poteri forti del calcio e della politica, alle tv commerciali, agli sponsor, come Tim, Puma, Fiat ecc. che finanziano, oltre la Nazionale, finanche l’apparato arbitrale con evidenti conflitti di interessi, è, metaforicamente parlando, una creatura, cioè un organismo di basso profilo professionale come dimostra l’ultimo capolavoro di ingegneria legislativa licenziato in materia di discriminazione territoriale dall’ultimo Consiglio federale.

E’ noto che il Consiglio federale, intervenendo sui testi degli articoli 11 e 12 del Codice di giustizia sportiva (Cgs), sul punto della discriminazione territoriale, ha stabilito che non costituisce più comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, la condotta che direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di origine territoriale.

Il presidente Tavecchio ha spiegato che la modifica intende evitare provvedimenti drastici e favorire interventi più ponderati, solo nei casi di maggiore gravità.

A dispetto delle sue parole, sta di fatto che il legislatore federale nel modificare il testo dell’articolo 11 del Cgs, che sancisce la responsabilità per comportamenti discriminatori, sanzionabili quale illecito disciplinare, ha escluso in radice, cioè ha cancellato la discriminazione di origine territoriale, come comportamento di rilievo disciplinare.

Sennonché nel successivo articolo 12, in aperta violazione del fondamentale principio, nulla poena sine lege, cioè nessuna sanzione senza una norma incriminatrice, stabilisce la responsabilità delle società per cori, grida e per ogni manifestazione che comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di origine territoriale.

Come appare di tutta evidenza, l’intervento del Consiglio federale è un vero e proprio aborto norrmativo.
In ogni caso, al di là dell’aspetto formale, che ha comunque rilevanza sostanziale, è palese l’intento di Tavecchio, che ha pagato la prima rata alla consorteria che lo sponsorizza, l’intento di impedire a tutti i costi la chiusura delle curve, sostituendo ad essa una sanzione pecuniaria che nella stagione 2012/2013 segnò un altro record della Juventus. Tale intento è reso palese dalla esplicita abolizione, come affermazione di principio, dell’illecito disciplinare come comportamento discriminatorio di origine territoriale. Quando si afferma per giustificare il provvedimento ablativo che una minoranza oltranzista e violenta non può ledere il diritto della maggioranza di partecipare all’evento sportivo, si ricorre a un motivo demagogico e insulso che confligge in maniera evidente con il sistema dell’ordinamento sportivo.

Se la ratio della norma è quella che non può una minoranza di un settore pregiudicare il diritto della maggioranza degli spettatori di partecipare all’evento sportivo, ne consegue necessariamente che l’unico caso che può legittimare l’ipotesi normativa di “maggiore gravità” che può legittimare la chiusura del settore, per la ragione che nol consente, è quello residuale, che sia la maggioranza degli spettatori ad intonare i cori oltraggiosi, imponendo democraticamente, alla pacifica minoranza del 49,9% la chiusura del settore.

In effetti, l’argomento della minoranza egemone e dei violenti che vanno individuati e puniti singolarmente, è un’arma spuntata nell’attuale sistema dell’ordinamento sportivo che è strutturato sul principio cardine della responsabilità oggettiva delle società.

Il principio della responsabilità oggettiva è assoluto e non può essere modulato a seconda della convenienza. Se un tifoso da un qualche settore dello stadio lancia una bottiglia di vetro che ferisce l’arbitro o un suo assistente, l’intero stadio viene chiuso per uno o più turni, penalizzando la totalità degli spettatori.

Ancora più specioso, per non dire che è un boomerang che si ritorce contro i suoi autori, l’argomento che la discriminazione territoriale è prevista soltanto dall’ordinamento sportivo italiano.

Anzitutto perché la normativa della Uefa condanna in termini generali ed assoluti chi insulta la dignità umana di un persona, di un gruppo di persone in qualsiasi modo, incluso il colore della pelle, la razza, la religione o l’etnia.

E d’altra parte se l’odio territoriale, che ha chiare origini razziali, costituisce una anomalia tutta italiana, per non dire una vergogna tutta italiana, non possono le istituzioni sportive, cui lo Stato ha delegato improvvidamente la disciplina di situazioni ambientali che attengono all’ordine pubblico, risolvere il problema, nell’ottica primaria degli interessi corporativi delle società di calcio.

Questo piccolo mostro normativo, che di fatto ha liberalizzato, creando una zona franca negli stadi, l’odio razziale contro Napoli e i napoletani, probabilmente non avrà vita lunga per gli effetti devastanti che inevitabilmente produrrà sull’ordine pubblico negli stadi, ma costituisce la sicura conferma che lo sport del calcio è saldamente nelle mani della industria del calcio.
Antonio Patierno

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