Il demone di Conte inquieta persino la Juventus

Ogni mattina in Piemonte, quando sorge il sole, Antonio Conte si sveglia e sa che dovrà correre più veloce di un altro uomo che lo insegue. Un uomo che ha la sua stessa faccia, il suo stesso nome e più fortuna di lui. Antonio si guarda allo specchio e comincia la sua fatica quotidiana, la […]

Ogni mattina in Piemonte, quando sorge il sole, Antonio Conte si sveglia e sa che dovrà correre più veloce di un altro uomo che lo insegue. Un uomo che ha la sua stessa faccia, il suo stesso nome e più fortuna di lui. Antonio si guarda allo specchio e comincia la sua fatica quotidiana, la sua razione di stress per sfuggire alla presa fatale del suo altro-io. Quello che gli va dietro vuole mangiarlo, includerlo in sé. Si prende il suo corpo e parla con la sua voce. Va davanti ai microfoni e alle telecamere, conserva il tono rauco e dimesso del primo Conte e con quello pronuncia le frasi più violente che si possano immaginare. Una volta contro un arbitro, un’altra contro un sistema di regole, un’altra ancora contro i suoi avversari. Sono scene che alla fine non fanno neppure più tanta impressione, perché il mondo di Antonio, il calcio, è un po’ così, farfallone e superficiale, digerisce gli eventi più crudi con apparente facilità. Ha digerito senza cambiare mai finanche dei giovani uomini morti, dei bambini morti, figurarsi cosa gli fa al mondo del calcio la sparata di un allenatore.

Al calcio nulla, ma a noi che ne siamo fuori, a noi che il calcio lo guardiamo fa impressione. Il viso pirandelliano di Conte, uno nessuno e centomila, quando si increspa per dir male del Benfica o quando si modella su un ghigno per lanciare i suoi messaggi a Garcia o a Benitez o ad Agnelli, tradisce fino in fondo la dissociazione dell’identità cui è sottoposto. Un uomo di 40 anni, miliardario, come si sarebbe detto una volta, con una donna colta e attraente al suo fianco, una bambina che gli riempie la vita, quella vita è disposto a farsela avvelenare dal demone che lo insegue e lo raggiunge e lo corrode. Quel demone che pretende di mettere se stesso al centro del campo, che chiede elogi nei successi e alibi nelle sconfitte, raggelante se ci pensate, o forse no, forse si dovrebbe dire agghiacciante. Se la perfetta identità juventina consiste nel non considerare per sé altro al di fuori della vittoria e se contempla fra le sue declinazioni la derisione della sconfitta altrui, la maschera Conte dovrebbe sembrare perfetta a incarnare il proprio ambiente. Nonostante ciò, la dualità di Conte oggi pare troppo finanche in casa Juve. Con i suoi eccessi, si sono scoperti a disagio perfino lì: per la sgradevole vicenda della squalifica per omessa denuncia (che lo porta sul Times come simbolo delle ombre del calcio italiano), per le risse verbali alle quali costringe il bonario Marotta; per certe frasi palesemente in contrasto con l’azione della società, preoccupata di risalire la scena internazionale e di riaccreditarsi come l’ammiraglia italiana del pallone.
Dovremo attendere che si separi un giorno dalla Juve, per contemplare quale Conte avrà vinto la battaglia delle personalità, il derby con se stesso, per vedere quale Conte lavorerà altrove. Il sospetto è che invece dopo Conte la Juve avrà bisogno di un contro-Conte, di una figura che sia un antidoto contro la quotidianità fin qui nutrita di tossine. Di uno alla Ancelotti, per dirla tutta, uno che a Torino c’è stato e se n’è andato fra gli insulti, uno che ogni mattina a Madrid, quando sorge il sole, si sveglia e sa che non dovrà correre per niente, non c’è nessuno uomo che lo insegue, è solo la sua ombra quella dietro di sé, al massimo con un sopracciglio alzato, ma un’ombra innocua. Oppure di uno alla Prandelli, sereno, affabile, l’accento giusto, un uomo che va sempre in giro con un bel camice bianco. Su un camice bianco, ci metti poco ad incollare delle strisce nere.
Elena Amoruso

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