Un rap come inno del Napoli? Ok, basta che non sia sciatto

Mentre noi tifosi ortodossi siamo rimasti sorpresi – chi positivamente e chi negativamente – dalla reazione di Benitez al termine di Udinese-Napoli, con ramanzina alla squadra per la mancanza di mentalità vincente, Aurelio De Laurentiis da Ischia ha provato a prendersi la scena. Sempre di carattere e grinta (anzi incazzatura) ha parlato ma in riferimento […]

Mentre noi tifosi ortodossi siamo rimasti sorpresi – chi positivamente e chi negativamente – dalla reazione di Benitez al termine di Udinese-Napoli, con ramanzina alla squadra per la mancanza di mentalità vincente, Aurelio De Laurentiis da Ischia ha provato a prendersi la scena. Sempre di carattere e grinta (anzi incazzatura) ha parlato ma in riferimento – chissà quanto metaforico – musicale. Il presidente deve aver preso atto che la sua idea di riscrivere ’O soldato ’nnammurato è miseramente fallita. Il brano, va riconosciuto, non funziona e non potrebbe funzionare (è oggettivamente inascoltabile), oltre ad essere avversato da tanti tifosi. Tifosi che, va detto, sono geneticamente conservatori, almeno quelli adulti. È un discorso ampio che non riguarda solo i cosiddetti tifosi organizzati. L’appassionato di calcio che ha superato i quarant’anni è mediamente legato a un’idea di calcio che di fatto non esiste più. È aggrappato a un’idea, a un ricordo. Ma di quel calcio, anni Settanta, Ottanta (e anche prima), è rimasto ben poco. Anche le regole di gioco, come abbiamo più volte ricordato, sono cambiate.

A questa tipologia di tifoso – che poi è quella del Napolista – viene l’orticaria alla notizia che De Laurentiis vorrebbe un rap come inno del Napoli. La stessa orticaria di cui abbiamo sofferto quando abbiamo visto il Napoli giocare con la maglia mimetica prima e con quella gialla poi. O, ancora, quando abbiamo visto entrare in campo le cheerleader che in verità sono sempre un corpo estraneo al San Paolo. Non nego che il calcio ha una sua ortodossia. Il calcio, il tifo, è appartenenza. A una maglia, a determinati colori. Sono violenze quelle che De Laurentiis ci impartisce. Violenze, va da sé, finalizzate a un guadagno che, vale la pena ricordarlo, non è un reato.

Insomma, chi scrive non avrebbe mai voluto vedere le ragazze pon pon in campo e desidererebbe che il Napoli giocasse sempre con la maglia azzurra. Ormai, però, basta guardare un po’ di partite in Europa per scoprire che di aberrazioni cromatiche ne è pieno il calcio. Senza sottovalutare, tornando all’aspetto economico, che la maglia mimetica – prima di essere ritirata per motivi legali – era andata a ruba. Tra i ragazzini e non solo.

Adesso De Laurentiis vorrebbe infrangere un altro tabù: l’inno rap. Ho pensato un po’ prima di scrivere. La prima reazione è stata la solita: è pazzo, non conosce il calcio, disconosce la nostra storia per non dire di peggio. Poi, però, ho riflettuto. E se fosse una buona idea? Perché il rap non può rappresentare una squadra di calcio? Che cosa ascoltano oggi i tredicenni? Il rap. Conoscono le canzoni a memoria. E, ancora, che cos’ha di male il rap? Perché non si addice a uno stadio? Chi lo ha stabilito che gli stadi sono prerogativa esclusiva di “Grazie Roma” e “’O surdato ’nnammurato”? Insomma, a me l’idea del rap piace. A patto che non si concluda con un’esecuzione sciatta e insipida com’è stato per la versione riveduta e scorretta di Oj vita mia. Magari potremmo giungere a un compromesso col nostro presidente: il rap in apertura e la versione originale di “’O surdato ’nnammurato” quando vinciamo. Una riedizione delle cinquanta giornate da orsacchiotto.
Massimiliano Gallo

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