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Noi, napolisti di Roma, costretti a tifare Juventus

Glielo leggi negli occhi. Stavolta non lo ripetono, addirittura lo negano. Ma la luce nello sguardo è inconfondibile. “Non succede ma se succede”. E’ il loro ritornello più noto. Un altro approccio esorcizza tutto al passato, ma è chiaro che il presente offre ancora speranze, seppure ridottissime. Dalla Signora in Giallorosso di lunedì sera: “Con 79 punti stavamo già a Testaccio”. Già, Testaccio. A Roma dire “stavamo già a Testaccio” significa festa per lo scudetto, sponda romanista. Una festa eterna, da uno a tre anni. Una pena vera, non come i servizi sociali per l’ex Cavaliere. Migliaia di persone tutte le sere a bivaccare e bere e ballare e godere. Scritte sui muri, schiamazzi fino a notte fonda. Traffico bloccato. Petizioni. Coprifuoco e sospensione delle garanzie costituzionali per i tifosi delle altre squadre, in primis i laziali, ovviamente. So di avventurarmi su un terreno minato. Di più, illustrare con le parole più morbide possibili una supplica blasfema, un’eresia per la fede azzurra. Ma a questo punto della stagione bisogna dirlo, sperando di intercettare almeno la comprensione dei napoletani della Capitale. Meglio la Juve che la Roma. E abbiamo detto tutto. Colpa del fattore ambientale. L’ambiente è tutto quanto tifi in terra straniera. La mia avversione bianconera è atavica ma vacilla dinnanzi al campionato che sta per finire. L’anno zero del rafaelismo si attesta al terzo posto e a questo punto è necessario pensare alla qualità della vita. Ho vissuto altri scudetti nemici tra Roma e Milano. La Lazio, il Milan, l’Inter. Un rumore domenicale prolungato al lunedì, massimo al martedì. Poi, di nuovo il silenzio, di nuovo la routine. Nulla rispetto a quello che possono combinare “i tifosi più tifosi del mondo”, come si vantano di essere i romanisti. Da lontano, un tempo, addirittura simpatizzavo per loro (sempre colpa del fattore ambientale, perché in costiera sorrentina gli avversari sono rossoneri, nerazzurri, bianconeri), oggi mi comporto con loro come un laziale. Ho capito, per la prima volta in vita mia, il significato profondo del verbo gufare. Per un anno intero, il dilemma è stato uno solo, anche perché ci riguardava molto da vicino: “Quando crollano?”. Non sono crollati e il fatto di finire alle loro spalle mi fa rodere parecchio. L’assedio romanista è stato asfissiante. Dalle tv e sui vari posti di lavoro. E’ dura capire che la Roma ha segnato dal boato che erompe improvviso mentre fumi affacciato al balcone o passeggi tranquillamente per il rione. E ancora: “Ci avete dato De Sanctis e avete preso Reina che è una pippa”. “Benitez è un minestraro”. Il punto d’arrivo è naturale: lo scudetto alla Juve è il male minore, molto minore. Senza dimenticare che loro, i romanisti, ci odiano. Quando ho scritto di Sorrentino, l’Oscar dedicato anche a Maradona e del rosicamento dei romanisti, Vittorio Zambardino ha chiesto se ci fosse un legame tra la cultura giustizialista della Seconda Repubblica e l’avversione per Diego, evasore come il Caimano. La migliore risposta è arrivata da suo figlio, quando ha rivendicato il diritto all’odio nel calcio. A Roma ci detestano a prescindere, per una questione antropologica non politica. Motivo in più per farla finita al più presto. Ai gobbi servono in teoria due vittorie e un pareggio. I romanisti temono che la Juve vinca lo scudetto in casa loro. Troppo tardi, meglio non correre rischi. Ps. Preso dagli scrupoli, ho interpellato il mio dirimpettaio in redazione, tifoso granata. Si chiama Stefano. Vive tra Roma e Torino. “Stè, immagino che non te lo debba nemmeno chiedere”. “La Juve è il male assoluto, qualunque squadra tranne loro”. “Ma quanti giorni festeggiano?”. “Mah, loro sono abituati, la sera della domenica e tutto è finito. Quella è l’unica volta che vengono in centro, ahahaha”. Invece voi del Toro. “Se dovesse accadere faremmo festa per una settimana al massimo. Nel 1976, quando accadde, diecimila persone salirono a piedi a Superga”. Da brividi. Fabrizio d’Esposito

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