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Io vi detesto, napoletani morti di paura: ci togliete la gioia

Io vi detesto. Con tutto il cuore. Io vi detesto perché non riuscite a godervi la vita e siete bravissimi nel rovinare questo piacere agli altri. Io vi detesto perché non è più vero – se mai è stato vero e dubito – che in questa città ci sappiamo godere la vita. Paolo Sorrentino lo diceva due giorni fa a Roma, presentando il romanzo di Angelo Carotenuto (leggetevelo, si chiama Dove le Strade Non Hanno Nome): “La nostra è una città triste”.

Ci rovinate la vita. “Ci”, noi, anche se vivo altrove, perché “questa città” sta anche laddove ha messo casa chi è andato via, questa città è me, fino al mio ultimo battito di cuore e voi non avete nessun diritto di rappresentarla come un teatrino di guitti ammalati di buffonismo. Io vi detesto perché voi sprecate le nostre piccole schegge di gioia.

Mi sono goduto i primi mesi di Benitez quando c’era una squadra sfrontata, quasi allegra nella sua mancanza di paura. Prima di Milan-Napoli scrissi uno sms a un amico: “Quante volte abbiamo perso qui, ma oggi sento di non aver paura”. Non aver paura non significa che sei invincibile. Significa non strapparti i capelli se prendi un gol, non cercare teste da tagliare per una sconfitta, non “cercare pretesti”, sopportare il disagio, “capire” la realtà, uscire dalla dimensione infantile e onanistica del tifo come Desiderio assoluto. Ora quella gioia se n’è andata. Ma siamo “noi” ad averla scacciata. Siamo tornati alla cupezza di sempre.

Avete presente quando qualcuno vi indica una lucertola e vi dice: “Eh ma questo in Florida è un alligatore che ti uccide”. Ecco qui a Napoli ci sono caimani e alligatori.

C’è il caimano tifoso. Divora “a prescindere”. Mazzarri o Benitez, lui divora. Lui fischia ciò che ha, ammira ciò che è andato via. Ha memoria corta. Fischiò il Maradona che oggi adora.

Ma, signori miei, noi non comprendiamo che il caimano sa fare il mestiere al posto degli altri. Volete mettere come farei io la campagna acquisti? E l’allenatore? il Caimano sa, a prescindere, come si fa lo sport, anche se ha la guallera sui piedi. E se lo guardi da vicino, scopri nei suoi occhi lo stesso sguardo triste di noi incupiti.

E poi ci sono gli alligatori. Ma forse qui sarebbe meglio ricorrere a Sciascia. Sono i professionisti del rancore. Sì, ve l’ho detto, è tutta una fauna che c’è anche altrove. A Roma siamo al parossismo. In certe sere di tanti anni fa, quando facevo il giornalista sportivo, ho assistito a telefonate fatte a mezzanotte ad un allenatore solo per far vedere ai colleghi che “quello a me me risponne, sto fijo de na mignotta, nun c’ha le palle da riattaccamme er telefono”. E vi raccomanderei Firenze.

Ora va capito che questa è una ragione di vita per i professionisti del rancore. Questa gente “deve” dissentire. Pensateci un attimo, questa è un industria che si nutre di malumore e dissenso, vende lattine di “merda-cola”.

Vorrei tanto che poteste rivedere tutti un grande film della Pixar. Monsters & Co. In quel film la città è dominata dall’industria della paura. I lavoratori della fabbrica della paura sono mostri che devono spaventare i bambini, succhiarne la paura come se fosse linfa vitale, togliere loro la gioia di vivere e alimentare la grande macchina dell’ansia e del timore. Finisce che due mostri si ribellano e smettono di fare il loro mestiere.

Ci sono quei due “mostri” a Napoli? Io non li vedo. Invece vedo il teatrino subalterno di chi ospita il grande cronista nazionale solo per rendersi ridicolo ai suoi occhi e confermare che sì, siamo una città di cialtroni inconcludenti. Capite? Se loro non possono marcare una differenza, voi non sceglierete più il loro canale. Non li seguirete, verranno meno i loro rancori, la loro stessa ragion d’essere. E allora urlano.

Ma il motivo per cui il loro grido arriva e fa male è che tutti noi non ci siamo ancora ribellati alla macchina della paura. Gli alligatori li teniamo in vita noi caimani. Noi napoletani morti di paura.

Se stasera l’Arsenal vince, cantiamo O Surdato Nnammurato vecchia versione? “A cchiù bella e tutte e belle/nun è mai cchù bella e te” Ripetete con me, su, non fa niente se siete stonati, conta il sentimento.
Vittorio Zambardino

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