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I quattro gol alla Lazio chiudono una vecchia ferita

Da cinque anni il Napoli non vinceva all’Olimpico sulla Lazio. Era questo l’avviso ai naviganti. Nell’agenda del tempo, che passa ma lascia precisi segni, c’è un’altra annotazione, scritta con inchiostro indelebile. Si riferisce a un giorno d’ottobre di un anno lontano ma ancora oggi dotato di segnali a luce fioca. Un Napoli al galoppo in testa alla classifica, cinque limpide vittorie in apertura di torneo e un pareggio a san Siro col Milan di Maldini e Liedholm. 23 gol in sei partite. Il sogno proibito dello scudetto sembrava vicino a prender forma grazie al gioco brillante degli azzurri. 4 a zero sul Genoa, 3 a zero sul Torino, 4 a 2 contro l’Atalanta, 6 a 0 per liquidare il Verona e ancora 4 gol per eliminare il Padova. Davanti alla difesa affidata al giaguaro Bugatti e ai terzini Comaschi – ‘o lione – e Greco II, la duttile mediana contava su Morin, Franchini e Posio. All’attacco, secondo i moduli del tempo, cinque eccellenti pedine: Brugola, Di Giacomo, Vinicio, Pesaola e Novelli. Per la settima giornata, la Lazio ci aspettava all’Olimpico. In biancoceleste diversi calciatori dalla mirabile carriera virtualmente già conclusa: Eufemi, Carradori, Muccinelli, Tozzi, Vivolo, Pozzan e il biondo Selmosson. Un’onda strabocchevole di tifosi partenopei sugli spalti, fiduciosi nell’esito positivo della gara e particolarmente esuberanti nell’incoraggiamento. Una festa sugli spalti cominciata troppo presto. Lo stop alla marcia azzurra arrivò con i gol dei laziali Vivolo, Pozzan – due volte – e Selmosson. Un gol azzurro fu segnato da Vinicio. La marcia travolgente era interrotta, la realtà metteva da parte la fantasia. Il rientro dei tifosi a Napoli stillò sentimenti amari e la delusione ridimensionò le visioni ottimistiche d’un primato stabile. Il Mattino, il giorno dopo, titolò: “La rivincita degli uomini di classe”, riferendosi ai giocatori della Lazio. L’annata continuò con passo più lento, per finire con un quarto posto, onorevole ma lontano dal sogno. Vinse la Juve, cui però gli azzurri – grazie anche a uno strepitoso Bugatti – inflissero un 3 a 1 a Torino. La débacle romana, col suo carico di disillusione, restò lì, come una ferita aperta. E la Lazio lasciò nell’immaginario un volto di squadra giustiziera. Un riflesso condizionato prende luce nella memoria in ogni occasione di confronto diretto. Quanta acqua è passata sotto i ponti del Tevere. Ma il 4 a 2 subìto stavolta dai capitolini ha in sé la freschezza di una risposta sempre attesa, di un riequilibrio di emozioni che solo chi era sugli spalti dell’Olimpico, in quel giorno lontano, può sentire e assaporare col cuore pacificato. Mimmo Liguoro

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