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Sì, siamo noi i terremotati: oggi è 23 novembre. Magari ai bambini juventini potrebbe essere insegnata un po’ di storia

23 novembre. 19.34. Liam Brady che posiziona la palla sul dischetto. Novanta secondi. Quasi tremila morti, tra Irpinia, Basilicata e Napoli. Sotto le coperte, lì in quei servizi del tg. Novemila feriti. Trecentomila feriti. Sant’Angelo dei Lombardi, Conza della Campania. “Fate presto”. Roberto Ciuni. Andy Wahrol. Via Stadera. Lo sferisterio. Chi c’era ed è sopravvissuto non lo ha più dimenticato. Ha vissuto gli anni successivi a imparare a smettere di tremare. A guardare il lampadario più tempo che la televisione, quelli che una casa ancora ce l’avevano. E poi, ancora, i prefabbricati, le scuole coi tripli turni, quella sensazione di day after dilatata nel tempo.

Sì, siamo noi, i terremotati. Trentatré anni dopo. (Del sapone parleremo un’altra volta)

Magari questo e altro potrebbe insegnare la Juventus alle scolaresche, invece di portarle allo stadio per evitare la figuraccia internazionale di una sanzione inflitta per razzismo. Ma ci rendiamo conto che sarebbe troppo da chiedere a una società come quella e ai nostri dirigenti sportivi.

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