Abbiamo scritto e ho scritto così tante volte dell’involuzione del tifo napoletano che oramai ogni parola sarebbe replica di discorsi già fatti, già sentiti. Chi ha vissuto le curve da sempre sa che cosa significava entrare al San Paolo, arrivare persino a distrarsi dalla partita per incantarsi a guardare il pubblico e perdersi nella bellezza di cantare un coro. Almeno fino alla fine degli anni 90′ è stato così. E, purtroppo mi ripeterò, checché se ne dica, Palummella è stato un mito in curva B con le sue coreografie, i canti e il folklore. Ma Palummella, al secolo Gennaro Montuori, è forse anche la causa della decadenza del tifo napoletano al quale stiamo assistendo da alcuni anni. Tutto muove da un’accusa, sempre la stessa che corre di bocca in bocca, di bar in bar, di strada in strada: “Palummella ce magnava ‘ncopp ‘o Napule!”. E questa è la sentenza, la Cassazione. E così il new deal del tifo azzurro è tutto proteso a fare l’esatto contrario di ciò che faceva il Montuori. Se Palummella inventava i cori per i giocatori – non solo ai campioni, ne ricordo pure per Scapolo, Stellone e Nielsen – ora è proibito. Se Palummella faceva le coreografie – con i soldi di Ferlaino, questa è l’accusa della vulgata – ora le coreografie sono abolite. Palummella amava il folklore? Ora il folklore è una bestemmia.
E così, a furia di contrapposizioni, andare al San Paolo non è più divertente come prima. Come i talebani, gli integralisti, gli ortodossi che per prendere eccessivamente alla lettera certi dogmi ne perdono senso e significato, così il San Paolo è diventato assai più “Coerenza e Mentalità”, ma l’anima è persa irrimediabilmente. Si, ci andiamo perché il Tempio chiama. Ma poi un po’ ce ne pentiamo al ritorno a casa. E non per il risultato, ma perché nella mente si ha un altro ricordo della curva, del tifo, della partecipazione.
Che senso ha? Me lo chiedo da tanto tempo. E perché gli ultrà, che sono minoranza in città, devono essere la parte più visibile? Come la camorra, come la gente di merda.
Io non lo so che cosa sta accadendo in questo mondo che non mi appartiene più. Cantare “Napoli colera” in chiave goliardica sarebbe stata una trovata meravigliosa. Da napoletani. Cantarla per solidarizzare con la merda del tifo che è pure in altre città l’ho trovata una cosa vergognosa, indecente.
Cosa succede a Napoli? Per capire cosa sta accadendo nella nostra città qualche quotidiano dovrebbe volgere lo sguardo nello stadio. Una parziale, ma fedele riproposizione di ciò che accade fuori dal San Paolo. Dove le minoranze visibili prendono il sopravvento. La maggioranza subisce, ma lo scuorno è collettivo. È di tutti noi.
Io me lo porto dentro, eppure non mi appartiene.
Coro o non coro, dignità o non dignità, senza fare troppi discorsi c’è solo una grande verità: da molti anni, almeno io, allo stadio non mi diverto più.
Valentino Di Giacomo
Gli ultrà sono la foto di Napoli: da noi dettano legge sparute minoranze. La maggioranza subisce
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