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La vita di Benitez a puntate / Liverpool, la Champions vinta dopo la profezia di un ascensore

Dopo due campionati vinti e una Coppa Uefa, Benitez e il Valencia si lasciarono con quattro parole in tutto. Quattro. Una domenica pomeriggio. Da mesi la trattativa per il rinnovo del contratto non si sbloccava. Avevano iniziato a discuterne a febbraio, con la Liga che entrava nel vivo, e ormai era maggio, la città ancora in festa. Manuel Garcia Quilon, l’agente e amico di Rafa, aveva avuto mille e uno colloqui con i dirigenti, senza fare mai un passo avanti rispetto alla reciproche posizioni: il Valencia offriva il rinnovo per un anno, Benitez lo trovava offensivo e ne chiedeva almeno due. Il direttore generale Manuel Llorente stava giocando una partita di poker. Convocò a Valencia Quilon, il quale si mosse da Madrid e giunse puntuale all’appuntamento. “Sbrigo un altro incontro e sono lì”, si sentì dire. Attese un’ora, due, tre, mezzo pomeriggio. Finché fece dietrofront e corse alla stazione a prendere l’ultimo treno per Madrid. Solo quando era ormai in viaggio arrivò lo squillo di Llorente: “Sono libero, vediamoci”. Quilon rispose: “Magari un’altra volta”. Quando Rafa seppe, andò su tutte le furie. Con Llorente era sempre andato d’accordo, ma stavolta avvertì una profonda mancanza di rispetto. “Qui non rimango più”. Quilon provò a fargli cambiare idea. “Prenditi un paio di giorni”. Rafa ne parlò con sua moglie Montse fino a quella domenica pomeriggio. La domenica delle quattro parole.
Llorente arrivò a casa Benitez e si scusò, c’era in corso una guerra di potere al Valencia, non avrebbe potuto offrire più di un anno senza sapere chi l’avrebbe spuntata. Benitez non parlava, Quilon insisteva a chiedere un biennale trovando dinanzi a sé un muro. Allora fu il futuro presidente a intervenire per provare a sbloccare lo stallo. Tre anni, disse. Non due, tre. Ma anziché sbloccare la situazione, ebbe il potere di offendere l’orgoglio già ferito di Rafa. Ebbe il potere di tirargli fuori quattro parole. “Adesso è troppo tardi”. Fine di una storia. Concordarono un comunicato stampa, promisero di non attaccarsi mai in pubblico, poi il Valencia cambiò idea e fece causa a Benitez, convinti com’erano che l’allenatore avesse già un accordo con il Real Madrid. Non ce l’aveva. Dopo la rottura, Rafa chiese a Quilon di sondare un po’ il mercato. Nel giro di qualche settimana, le proposte di lavoro erano quattro. I turchi del Besiktas offrivano più di tutti. Più della Roma, più del Tottenham, più del Liverpool. Rafa scelse l’offerta più prestigiosa, non la più vantaggiosa. Scelse Liverpool.

Bastarono pochi giorni per realizzare di aver fatto la scelta giusta. Il Liverpool gli aveva dato pieni poteri, accettando che lui portasse con sé l’intero staff di collaboratori e che scegliesse i calciatori che voleva. Molti spagnoli, molti perfetti sconosciuti per l’Inghilterra, come quel basco di 23 anni, Xabi Alonso, che Rafa volle a tutti i costi in mezzo al campo. A Benitez diedero un magnifico ufficio con una splendida veduta, scoprì che l’allenatore-manager in Inghilterra non tutti i giorni va a dirigere la seduta in campo, qualche volta anche lui lasciava fare ai suoi e seguiva dall’alto. Un anno che sarebbe diventato indimenticabile. Agli alti e bassi in campionato (quinto posto finale), si accompagnavano le partite di Champions. Il preliminare superato con gli austriaci del Graz nonostante la sconfitta ad Anfield. Il girone passato all’ultima giornata, quando bisognava vincere con due gol di scarto sui greci dell’Olympiakos e arrivò il 3-1 dopo essere andati sotto 0-1. Gli ottavi di finale superati con due vittorie sul Bayer Leverkusen. Ai quarti, la Juve. La Juve di Capello. Vent’anni dopo l’Heysel. Il Liverpool fece di quella partita un’occasione di pace e di riconciliazione. Una lapide venne posta ad Anfield in memoria dei morti. Nel minuto di silenzio che si tenne prima del via, disse Rafa che si sarebbe potuta sentire la pioggia cadere. Il Liverpool vinse 2-1 e al ritorno chiuse con un 0-0. Semifinale. Contro il Chelsea. Il Chelsea che Mourinho stava portando a vincere il campionato. Tre volte si erano già affrontati durante l’anno, tra Premier e Coppa, e tre volte aveva vinto il Chelsea. Che però non resse la tensione: 0-0 a Stamford Bridge, 1-0 per il Liverpool al ritorno. Finale.

In finale c’era il Milan. La squadra che più di ogni altra Benitez diceva di aver amato. Pensava al Milan di Sacchi, stavolta avrebbe avuto di fronte Ancelotti. Finale in Turchia, tu guarda il destino. In Turchia Rafa aveva perduto un cognato in un incidente aereo. In Turchia si trovava con il Valencia l’11 marzo 2004, il giorno dell’attacco terroristico a Madrid. Pensieri foschi. Voleva liberarsene. Voleva che la Turchia diventasse un ricordo luminoso. Aveva studiato tutto, come attacca il Milan, come difende, come calcia gli angoli, con chi, per chi. Ma l’uomo del controllo razionale di ogni dettaglio, la sera prima della finale volle concedersi un giochetto col destino. Era stato raggiunto in albergo da due amici spagnoli, Emilio e Teo. Avevano cenato insieme e chiacchierato a lungo, poi si erano avviati verso le camere. In attesa davanti ai 4 ascensori, Rafa ne indicò uno: “Se arriva questo per primo, domani vinciamo la Coppa ai rigori”. L’ascensore arrivò. Quello. Rafa guardò gli amici e tutti si sorrisero.

Nella sala riunioni, il pomeriggio prima della partita, mostrò ai giocatori il solito video sugli avversari. Una serie di azioni per ripassare movimenti e meccanismi. Poi disse: “Non vi alzate”. E ne fece partite un altro subito dopo. Un video con le immagini dei trionfi del Liverpool. Bill Shankly, Bob Paisley, Kevin Keegan. La Coppa del ’77 con i gol di McDermott Smith e Neal al Borussia Moenchengladbach. La Coppa del ’78 con il gol di Dalglish al Bruges. La Coppa dell’81 con il gol di Kennedy al Real Madrid. La Coppa dell’84 con i rigori all’Olimpico contro la Roma. Quando si riaccese la luce, disse: “Pensate che fra qualche anno in un video così ci sarà pure questa partita. Ora andiamo, e divertiamoci”. Il resto si sa. Il Liverpool fece quel che Rafa non voleva. Prendere subito gol. Tre a zero per il Milan alla fine del primo tempo. Nell’intervallo lui non si scompone. Dice che si può rimontare, che il Milan in genere nella ripresa concede di più, che bisogna segnare subito. Quando la squadra rientra in campo, i tifosi allo stadio cantano: “We’re gonna win four three”, vinciamo, vinciamo quattro a tre. Il Liverpool ci crede. Segna subito. Uno, due, tre gol. Supplementari, poi i rigori. Dudek, il portiere, racconterà di aver ripensato al video visto in albergo, di aver ripensato a come nel 1984 Grobbelaar aveva mosso le gambe sulla linea di porta per distrarre gli avversari. Lo rifece. Fu l’eroe della serata. Il Liverpool vinse. Ai rigori. Durante la festa, Emilio e Teo abbracciarono forte Rafa. “Ehi, Rafa, di’ la verità, prima dei rigori ti sei ricordato dell’ascensore?”. No, non lo ricordava. C’era solo razionalità in quel momento, c’era solo Cartesio. “Ehi Rafa”, gli chiesero, “ma se l’altra sera fosse arrivato l’ascensore sbagliato? Eh, ci pensi? Se fosse arrivato un altro ascensore, che cosa sarebbe successo?”. Rafa allora li guardò e sorrise. “Se fosse arrivato un altro ascensore, avremmo vinto prima dei rigori”.
(9. – continua)

Il Ciuccio


I CAPITOLI PRECEDENTI
1. L’infanzia
2. Il giovane calciatore
3. E un giorno Rafa scelse la panchina
4. La prima panchina in Liga
5. Il giorno in cui diventò Tormentor
6. E a Valencia dissero: Benitez chi?
7. La rivoluzione del riso che condusse al trionfo
8. “Ciao Valencia, per sempre mia”

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