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Dal Real al Borussia: è bello soffrire di vertigini

Dal Real al Borussia: è bello soffrire di vertigini

Anche la prima volta fu a settembre. Di sera. Mercoledì. Allora si giocava sempre di mercoledì. Allora, correva l’anno 1987, non si chiamava Champions League. Allora, ancora una volta, il sorteggio non fu benevolo. Real Madrid. Ora io non voglio riaprire una polemica col Ciuccio, ma quel Real Madrid non vinceva la Coppa dalle grandi orecchie da tempo, eppure era uno squadrone. Partì a mille in campionato. Partì fortissimo perché sapevano di avere noi al primo turno. Non c’era Internet, allora. Ma dal lontano pianeta Spagna arrivavano notizie fantozziane di mitici 7-0 rifilati alle avversarie nelle prime giornate della Liga.

Andammo al Santiago Bernabeu, a porte chiuse, e pagammo la nostra inesperienza. Rigore stupido provocato da Renica e autogol di De Napoli. In mezzo, un gol incredibile divorato da Giordano (l’ho sognato per anni) dopo una papera di Buyo e il palo interno di Renica. Di quella partita resta il ricordo di Diego che rincorre Chendo sulla fascia destra.

Ma il nostro esordio fu quindici giorni dopo. Napoli-Real Madrid. Ferlaino vendette tutto, anche i posti negli scantinati. Sarà perché in fondo sono quasi più legato alle sconfitte che alle vittorie, credo che quella sera vissi l’esultanza più incredibile in quasi quarant’anni di San Paolo. Probabilmente seconda solo al gol di Renica al 119esimo contro quella squadra a strisce bianche e nere.

Non c’era la musichetta, allora. C’erano i fumogeni, e i tamburi. Curva B, eravamo in tre su ogni gradone, le scale rigorosamente occupate. Colpo di testa, respinta corta, e Francini gonfia la rete. Non ricordo più niente. Scesi giù di non so quanto, impiegai tre-quattro minuti per ritrovare la posizione. E poi l’azione che non dimentico più. Un contropiede fulmineo, Careca col suo movimento squarcia la difesa, Francini va come un treno, mette al centro e Careca la tocca piano e Buyo la ferma col culo. Chissà, forse è stato meglio così. Non so se la statica del San Paolo avrebbe retto. Il resto non ve lo racconto.

La prima vittoria in Coppa dei Campioni ci fu tre anni dopo. Contro l’Ujpesti Dosza. Ma eravamo al crepuscolo. Andammo a Mosca senza Diego, lui raggiunse la squadra in albergo. Partì dalla panchina. Incocciati colpì un palo. E uscimmo ai rigori. Lì finì, definitivamente, il mio Napoli.

Abbiamo impiegato ventuno anni per tornare in prima classe. Che nel frattempo è cambiata. Si chiama Champions, non è riservata esclusivamente ai vincitori del campionato. Il ritorno non fu meno emozionante. Contro i giganti, o presunti tali, del Manchester City. La sera in cui scoprimmo di essere forti. Una delle partite più belle giocate dal Napoli. La partita in cui acquisimmo la consapevolezza del nostro spessore. Segnò Cavani, con uno splendido contropiede avviato da Maggio. Finì 1-1. Giocammo un girone magnifico. Perdemmo col Bayern a Monaco ma resistemmo a Napoli. Battemmo il City a Napoli e riuscimmo a conquistare gli ottavi battendo il Villarreal a casa propria, con un bellissimo gol di Inler. Quella Champions ci regalò il più bel Napoli di Mazzarri, una squadra europea nonostante la difesa a tre e tutte le disquisizioni tattiche.

Finì come finì. Contro il Chelsea. Asfaltato al San Paolo (la più bella partita giocata da Lavezzi in azzurro) e poi fin troppo temuto al ritorno. Quel Chelsea che finì per alzare la Coppa.

E siamo a stasera. Ancora una volta sorteggio poco benevolo. Marsiglia, Arsenal e soprattutto Borussia Dortmund. Forse al momento la squadra più forte d’Europa. Tante cose sono cambiate in appena due anni. Ora in panchina c’è Rafa Benitez, l’uomo che quella coppa l’ha alzata nella magica serata di Istanbul. Ci siamo, manca poco. Abbiamo paura, almeno io ho paura. Però non voglio scappare. È bello soffrire di vertigini.

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