Benitez è diventato Benitez che aveva soltanto 15 anni. Ehi Rafa, usciamo, gli facevano gli amici, andiamo a giocare a pallone, e lui si portava dietro anche un quadernetto. Scarabocchiava schemi, scolpiva sulla carta voti e giudizi sui compagni di gioco. Quando ha iniziato a dedicarsi al calcio vero, l’ossessione s’è trasferita su vhs. A casa dei genitori arrivò ad accumulare 1.500 videocassette su squadre a calciatori di mezzo mondo. Trecento finì per portarsele dietro con sé a Liverpool, dove mise in piedi una squadra di 70 osservatori e un database con schede di quattordicimila giocatori. Quattordicimila. Ha fatto programmare e brevettare un software con il quale studia lo stato di forma dei calciatori attraverso l’inserimento di alcuni parametri scientifici. A Liverpool lo prendevano in giro per via di quell’aggeggio, una volta lo attaccarono per aver messo in campo giocatori apparentemente fuori condizione. «Io so che stanno bene», replicò. Si convinsero che Rafa aveva ragione quando vinsero la Coppa dei Campioni.
Di lui si dice che possa lavorare anche 22 ore in un giorno, prima di una partita ripassa ogni dettaglio, gli bastano un paio d’ore di sonno, raccontano che vada a dormire sul divano per non disturbare la moglie, Maria de Montserrat, laureata in giurisprudenza. Il suo calcio è analisi dei fatti e dei dati. Forsennata analisi. Benitez non ha mai smesso di studiare. A 26 anni lascia il campo per via di un infortunio, era un discreto centrocampista bravo a inserirsi in attacco e fare gol. Un Hamsik, va’. Riprende i libri e si laurea in educazione fisica, continua e dà qualche esame pure a Medicina. Per questo oggi gli piace lavorare spalla a spalla con lo staff medico, coinvolge loro nel suo lavoro, lui si immerge in quello degli altri. Chiedete ai suoi ex calciatori cosa sono le diete di Benitez. A quelli del Valencia eliminò da un giorno all’altro gelato e paella. Inoltre vietò il chewing gum, diceva che era poco dignitoso. Ai ragazzi del Liverpool invece sottrasse la birra, quando si accorse che ne scorreva più del lecito dopo le partite, dentro la stanza delle scarpe ad Anfield Road. Quando si staccò dall’Inter, con la celebre sparata seguita al titolo mondiale, si lamentò del fatto che con Mourinho nessuno andasse in palestra, che i giocatori erano costretti a farlo di nascosto. Gli parve una bestemmia. A lui, che è il sacerdote dei dettagli.
Iniziano a chiamarlo Mago quando arriva al Valencia e vince il campionato. Cosa che in quel club e in quella città non succedeva da 31 anni. Anzi, Benitez lo vince 2 volte in 3 anni (2002 e 2004). Il primo senza avere un attaccante da 15 gol, ma con la migliore difesa del campionato, costruita intorno all’ex napoletano Ayala e al portiere Canizares. Il secondo trasformando in un punta da 19 reti (5 in meno di Ronaldo) Miguel Angel Ferrer, el murcielago, il pipistrello, che aveva voluto con sé dal Tenerife: lì avevano conquistato insieme la promozione in serie A nel 2001.
Fallimentari erano state le prime esperienze con Valladolid e Osasuna (due esoneri), la ruota gira con la storica promozione del ’99 in serie A dell’Extremadura. Una scalata, da quel momento. Ha vinto ovunque: al Valencia 2 campionati e 1 Europa League; a Liverpool 1 Champions, 1 Coppa d’Inghilterra, una Supercoppa inglese e una europea; all’Inter 1 Supercoppa italiana e 1 mondiale per club; al Chelsea 1 Europa League. Non è tipo che si spaventi delle eredità: a Valencia arriva dopo Cuper, a Liverpool dopo Houllier, all’Inter dopo Mourinho. Se i napoletani fossero manager di un’azienda che assumono ragionando sui curriculum, non avrebbero alcun timore di fare passi indietro.
Suo padre, Francisco, era un albergatore. E’ morto nel dicembre del 2005 mentre Rafa si trovava in Giappone al mondiale per club con il Liverpool. Il famoso cognome con la M viene però da mamma Rosario, Rosario Maudes. Lei tifosa del Real, Francisco dell’Atletico Madrid. Del suo gioco, un giorno Valdano disse che era “la perfezione difensiva e la velocità del contrattacco”. Un calcio di rimonte incredibili. Come quella celebre in finale di Coppa dei Campioni, Milan-Liverpool da 3-0 a 3-3, oppure in Espanyol-Valencia da 0-2 a 3-2 in 6 minuti. Sacchi lo definisce “bravo quanto Mourinho, ma meno scorbutico”. Anche se qualche spigolo nel carattere ce l’ha pure Rafa, dietro una bonarietà di superficie.
Deve amare Napoli, dice De Laurentiis. Intanto Benitez ama l’Italia. Ne ha imparato la lingua per capire meglio gli allenamenti e i testi tecnici di Arrigo Sacchi. Sebbene il 4-4-2 non sia il suo dogma, anzi, lo schema preferito è il 4-2-3-1. La Sardegna è il suo luogo ideale per le vacanze e alle due figlie ha dato nome italiano, Claudia e Agata. E’ il più italiano degli spagnoli. Non è mica un’offesa. Un interista vip come Beppe Severgnini, editorialista del Corriere della sera, lo chiamò sergente Garcia, perché – scrisse – “succedono tutte a lui”. Noi a Raféle, se le cose vanno come devono, gli mettiamo la maschera di Zorro.
Il Ciuccio