Devo ammetterlo: quando arrivasti, non feci salti di gioia. Ero a Napoli, ricordo. L’estate dei miei quarant’anni. La notizia arrivò nel pomeriggio, se non sbaglio. Cominciarono, come al solito, a fioccare gli sms e Sky sparò la notizia come se si trattasse del colpo del secolo. Rimasi un po’ interdetto. Eri forte, certo, ma eri un esterno, ti avevo inserito nella categoria di quelli che segnano con una certa difficoltà. Sbagliando, ovviamente. Non solo per quello che hai dimostrato dopo, ma anche perché a Palermo nelle ultime due stagioni avevi comunque realizzato 14 e 13 reti.
Devo riconoscere a un mio amico milanista di aver visto lungo. A lui sei sempre piaciuto. Un po’ come a Mazzarri, evidentemente. Avevamo il problema della prima punta e il tecnico aveva individuato in te quelle doti di prima punta che altri, invece, non avevano scorto.
Il giorno del tuo primo gol ufficiale, anzi della tua prima doppietta, lo ricordo benissimo. E chi s’o scorda. Eravamo in Svezia, d’Esposito e io, per il ritorno in Europa. Grande attesa, grande ansia, grande euforia. E grande choc alle sette della sera per un altro annuncio di Sky: Quagliarella alla Juventus. Andammo allo stadio ammutoliti. E ci pensasti tu: due gol da bomber di razza all’Elfsborg. E non dico che la delusione fu smaltita, perché direi una bugia, però fummo piacevolmente scossi dalla tua capacità realizzativa.
Ancora non credevamo ai nostri occhi e così la domenica successiva andammo a Firenze per gustarci il tuo esordio in serie A con la maglia del Napoli. Cross di Dossena e gran colpo di testa. Vabbè, la moviola evidenziò che quel pallone non varcò mai la linea, ma rimase il gesto tecnico. E il gol. Non ti sei fermato più, Edinson. Il primo anno fu una cavalcata. Segnavi gol a raffica. E, soprattutto, correvi dappertutto. Tornavi in difesa come non avevamo più visto dai tempi di Carnevale (che però segnava pochissimo rispetto a te).
In una parola, ti comportavi da leader. Un giorno ti paragonai al Grande Capo, immenso personaggio dell’indimenticabile “Qualcuno volò sul nido del cuculo”. Col suo passo solenne, percorreva il campo da un canestro all’altro infilando quella “fottuta” palla nel canestro. Allo stesso modo tu attraversavi il prato del San Paolo con la tua inconfondibile postura: dalla difesa su calcio d’angolo, all’offesa nell’area avversaria.
Mostrasti, tu, una qualità che fin lì avevamo scorto solo nel primo Mazzarri: una irrefrenabile voglia di vincere e di lottare fino allo spasimo per farcela. Emblematico fu il gol nella partita pre-natalizia contro il Lecce. In un Napoli decimato dalle assenze e salvato sulla linea dal soldatino Grava. Prendesti palla all’ultimo minuto e ti involasti verso la porta avversaria seguendo uno schema sovrapponibile a quello mostrato da Pelè sulla lavagnetta in Fuga per la vittoria. Destraccio da fuori area e gol.
La consacrazione, com’è d’obbligo a Napoli, arrivò poche settimane dopo, al San Paolo, contro l’odiata Juventus. Tre gol e via. Verso un sogno che da vent’anni non cullavamo più. Poi il sogno svanì, ma la sola illusione, quell’anno, ci bastò. L’ultima immagine che rimase impressa di quella stagione fu vederti in tribuna a Bologna esultare nonostante la squalifica del giudice sportivo.
Il secondo anno, come sempre, è quello più difficile. Confermarsi è operazione ardua. Il secondo anno fallì persino un mostro sacro come Alberto Tomba. Ma non tu. Lo capimmo subito contro il Milan, al San Paolo. Ma resta immortale la cavalcata di Manchester, in una serata che ci fece sentire davvero, e per la prima volta, grandi come un tempo. La serata più triste, ovviamente, fu quella allo Stamford Bridge. In campionato uscimmo subito dalla competizione per lo scudetto e perdemmo la qualificazione in Champions proprio a Bologna. Restano comunque tante perle: la doppietta di Udine, con tanto di strip, dopo il rigore sbagliato, il gollasso all’Olimpico di Roma, giusto per fare due esempi.
Poi, come accadde a Palermo, un episodio di violenza e quella voglia di andar via. Alla fine sei rimasto, unico tra i big a strappare un mega contratto al presidente. Perché la tua forza non è tanto nei mezzi tecnici quanto nella tua testa. La ferrea forza di volontà e la determinazione sono le tue principali qualità. Sai cosa vuoi e non ti fermi. Hai strappato un contratto quasi all’altezza della tua forza e a volte sei parso, a me, anche un po’ troppo egoista. Cannibale ti ha definito Fabrizio d’Esposito. Famelico, insaziabile, al punto da poter paradossalmente diventare un peso per la squadra. Perché il calcio è e sempre sarà uno sport collettivo.
Domenica a Firenze hai segnato il gol numero cento in serie A. Sessantasei ne hai realizzati con la maglia del Napoli. Novantadue le reti complessive in azzurro. Sei semplicemente un’iradiddio. Stiamo lì a osservarti con la paura che a giugno ci lascerai. Non so come andrà. Ma mai come stavolta varranno le parole di Fabrizio De André: “è stato meglio lasciarci che non essersi mai incontrati”, matador.
Massimiliano Gallo