Ultimamente sono un po’ confuso. Questa storia dei cori e del razzismo mi ha un po’ spaesato. A Torino, avendo partecipato alla trasferta, mi sono lasciato coinvolgere dall’ambiente, dai bruciori della sconfitta e dall’eco roboante del servizio sconsiderato andato in onda nel tg3 piemontese e accusai il colpo per l’odio straripante che percepii allo Juventus Stadium. Mai poi, trascorsi i giorni e rientrando in me stesso, ho realizzato che ciò che era accaduto fa parte del gioco da sempre. Così come i cori, così come lo pseudo-razzismo da stadio. Da bambino ricordo gli “uh uh” agli atleti di colore. Deprecabili e da condannare, senza indugi. Nei primi anni ottanta, Barbadillo, Juary ed Eneas furono i primi bersagli. A Napoli ricordo sotto un diluvio di pioggia e di bottigliette, gli insulti e gli uh uh per Julio Cesar che usciva in barella… Per non parlare dei cori. E degli striscioni. Ma da sempre. Anche al San Paolo o al Partenio o al Friuli di Udine.
Ma il punto è un altro: ci indigniamo? Ma di cosa?
Io vado controcorrente su questo argomento. Negli stadi questo esiste da sempre. Da sempre l’arbitro è cornuto, Pinko gioca bene solo in odor di rinnovo, Pallino è raccomandato e la mamma di Pagliuca è una brava donna. Da sempre si offende, ci si insulta e si fa il dito medio ai tifosi avversari. Da sempre.
Io penso invece che non siamo abituati a stare lassù. Il nostro caro vulcano stranamente in questi ultimi tempi è tornato di moda. Sì, è tornato. Dei terremoti e delle eruzioni sino a poco tempo fa non se ne sentiva parlare. Sismografi completamente piatti. Sono confuso e c’è caos. Negli anni d’oro, la lava del Vesuvio era una carezza, in confronto alle porcherie che ci auguravano, così come negli anni della C e della B. Cioè gli anni in cui il Napoli lottava per qualcosa e faceva paura. Quando si è in cima è così, quando gli altri ti temono, quando è riconosciuta la forza, automaticamente tutto il contorno si amplifica. L’interesse, così come l’odio sportivo (e non solo) con i relativi insulti di routine.
Non riesco ad indignarmi, anzi. Sinceramente mi inorgoglisco. Così come era capitato per l’intervista di Marchisio che definiva “antipatica” la nostra squadra. Finalmente invece sono usciti allo scoperto e hanno scelto il loro avversario. Noi, appunto. Invocare l’eruzione e ricordarci dopo le partite con Udinese, ma soprattutto con la Lazio, mi ha solo dato la conferma. I romani sono anche a pari punti con noi in campionato e ipoteticamente hanno le nostre stesse chances, ma a nessuno è venuto in mente della rottura degli argini del Tevere.
Il razzismo lo percepirei più a Verona, a Bergamo o a Brescia, al di là delle rivalità sportive, ma non allo Juventus Stadium, i cui 3/4 è composto da siciliani, calabresi, pugliesi e campani. Non credo che siano improvvisamente diventati razzisti. O solo ultimamente hanno scoperto che abbiamo un vulcano a pochi metri? Credo invece che ci venga riconosciuto un valore. Importante.
L’insulto, l’offesa, il desiderio di tragedia sono solo frutto di un timore o, come direbbero loro, una voglia di avere un avversario che non c’è. Ma col razzismo c’entra poco, secondo me. Seppur concordi che in genere, negli stadi gli animi si sono molto più inaspriti.
Negli anni belli, “Milano in fiamme” riecheggiava in ogni partita al San Paolo e in trasferta. E oggi, ad ogni gol, il “chi non salta juventino è” (certamente non offensivo) è diventato automatico. Non “bianco-celeste” o “nero-azzurro”, eh, Cavani ha segnato a Firenze e prima di gridare “gol” già era partito il saltello con tanto di coretto anti-bianconero. E questo, spesso o di rado, succede da sempre, essendo la nostra rivale storica numero uno. A Torino sta accadendo lo stesso. Prima probabilmente insultavano i milanisti, poi gli interisti e ora tocca a noi. Al nostro Vesuvio, che sovente vengono a visitare, e alla nostra munnezza, che in realtà è loro ma fan finta di non saperlo e di non sentire. Un po’ come fa giustamente (e solo in questo caso) Tosel.
Forza Napoli Sempre
La 10 non si tocca.
Gianluigi Trapani