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Peppino, il mio barbiere antilavezziano

Peppino, oltre ad essere un vecchio amico di famiglia, è il mio barbiere di fiducia. Essendo l’unico giorno in cui mi è possibile, ad ogni alba del martedì, sono il primo cliente della settimana nella sua piccola saletta in una strada poco distante da casa mia. Appuntamento che ormai si ripete da tempo immemore, da quando più o meno mi sono spuntati i primi peli in faccia.

È un piccolo negozietto molto demodé che rispecchia in pieno il proprietario. Non ha insegne luminose, né targhe, né cartelli pubblicitari appesi. Le ante dell’ingresso sono ancora quelle del giorno dell’inaugurazione di una quarantina di anni fa.  Enormi, doppie, di legno, che per aprirle bisognerebbe far colazione con una chianina e succo di spinaci. All’interno, se non fosse per i rasoi, i pennelli e per l’odore di menta ed eucalipto, lo si potrebbe scambiare tranquillamente per un negozio di antiquariato. L’arredamento non è stato mai modificato: pelle nera e legno tarlato ovunque. C’è un pendolo antico nell’angolo (dice che glielo regalò Tesser) e un quadro vecchio e brutto che in origine avrebbe dovuto raffigurare una primavera che il logorio del tempo ha tramutato in autunno (dice che lo strappò ad un’asta di grandi intenditori d’arte); tra le due poltroncine poi, si erge una bandiera del Napoli di almeno 30 anni e la foto di Totonno Juliano (“l’unico vero capitano”). In fondo, vicino la cassa (unico pezzo moderno in tutto l’ambiente oltre me), appeso al muro un telefono nero di metallo con il disco, la fotografia di John Belushi, un poster di Nadia Cassini (“l’unica donna al mondo che sa esprimersi meglio di spalle”, in realtà la definizione che dà è un po’ diversa, ma siamo in fascia protetta)  e un’immagine enorme del Pibe mentre fa la “rabona” contro il Torino (“’o gol ‘e Caffarelli, ‘o facevo pur io”). E la perenne musica di sottofondo non si discosta da una cassetta remixata con pezzi della Carrà e degli Squallor (“i veri poeti della mia generazione”) che ormai si è saldata nel vecchio hi-fi.

E ogni martedì l’unico nostro argomento di discussione è il Napoli e in particolare Lavezzi. Visto che io sono lavezziano a livello midollare e lui l’opposto. Solitamente è un dialogo, ma qualche volta si aggiunge  una terza persona, seppure i suoi interventi siano sporadici. E’ on Ciccillo (don Francesco), un anziano signore che tutte le mattine si ferma dal barbiere per sfogliare la quantità sterminata di riviste e quotidiani attuali e dei giorni precedenti. Parla poco, ma quando i toni tra me e Peppino si alzano, interviene con una logorrea infinita così come capita con parenti veterani, reduci di guerra, che ci raccontano le loro eroiche disavventure, mai confermate da nessuno, quando sentono in giro qualsiasi tipo di lamentela o quando gli animi si accendono. On Ciccillo fa lo stesso raccontandoci episodi alquanto ingrassati e decorati (per non dire impossibili) di quando era amico di Vinicio, Sivori e Dino Zoff. A volte, con Peppino decidiamo di litigare a bassa voce, pur di non accenderlo al grido “Io ho visto Amadei! Io ho visto Di Costanzo! Io ho visto ecc ecc”…

Peppino invece è uno di quei nostalgici che si sono fermati all’epoca che fu, che non sono riusciti ad andare oltre il 7 d.D. (dopo Diego) e che ritengono il Pocho quasi un usurpatore di un trono che non può appartenergli,  a difesa di un’antica ed ossessiva devozione ai limiti del bigottismo.

E’ stato un grande tifoso degli azzurri e ha seguito la squadra sobbarcandosi trasferte, allenamenti e ritiri per tanti anni. Ma, e non è l’unico caso, a un certo momento della sua lunga carriera da tifoso di campo si è ritirato a vita monastica, adducendo come motivo l’addio di Maradona. “Ho visto tutto, ho visto troppo”, questa l’espressione che usa almeno una volta nel nostro dialogo. Per lui, dopo la visione in tutte le salse (e mi riferisco in particolare agli allenamenti) della massima espressione del calcio sulla terra, tutto il resto è come un mio scarabocchio in una mostra di Van Gogh. Da quell’infame 1991 Peppino non accompagna più la squadra e non va più allo stadio e segue le sorti del Napoli solo in tv, diventando ultracritico sotto ogni punto di vista. Soprattutto col Pocho. Nei peggiori momenti degli ultimi anni abbiamo avuto anche un paio di diverbi pesanti.  So che un po’ se la godeva nel vedere quello schifo tra serie B e serie C, perché era un buon modo per avvalorare una azione che in fondo non condivideva, una sorta di difesa estrema (mai richiesta da me) della propria scelta, ma che non riusciva a non esprimere, quasi a voler tentar di trovare una giustificazione da dare a se stesso, ma che forse la rabbia e la stanchezza gli imposero.
Io vivo le sue domeniche di un tempo, ma con risultati diametralmente opposti e forse con me ha questo senso di rivalsa. La squadra e la società che affondavano sono stati l’ancora di salvataggio per una scelta che in fondo non avrebbe mai voluto fare. Nei momenti più accesi ho anche temuto per la mia gola. In particolare, quando c’era da fare il contropelo nella zona del collo, per timore, gli ricordavo i lanci di Krol, il gol di Diaz a Tiblisi o le curve della moglie del compianto Giuliani oppure che la 10 non si tocca, unico argomento sul quale ci siamo sempre trovati d’accordo.

Questo atteggiamento autolesionistico e saccente lo ha reso intollerante ai limiti del fanatico. Anche perchè non ha un’idea precisa o una filosofia da portare avanti, se non quella dell’ “Oltre Diego il nulla, sono contro tutto e tutti”. A volte pur di  sostenere il contrario di una realtà incontrovertibile, a prescindere, nega l’evidenza. Il classico bastian contrario che sarebbe capace di affermare persino che Chiellini è simpatico, che la palla di Muntari non è mai entrata o che Santana è un fuoriclasse. Su Denis per esempio, ha dato il meglio di sè. Quando segnava, e tutti lo acclamavano, diceva stizzito “sarà ricordato come Pellegrini”, quando invece si mangiava gol impossibili, e tutti lo mettevano alla gogna, lo difendeva dicendo “pure Pacione ha vinto uno scudetto”. Sul Pocho invece, il discorso è sempre stato coerente. Io totalmente pro, lui totalmente contro. Ed ogni diatriba, costruita tra da teorie e paragoni improbabili, si è sempre conclusa con “vabbuò, è un attaccante? E l’attacante addà signà!” da parte sua e il mio “è fondamentale per il gioco di Mazzarri” che poi rappresenterebbe la summa di tutte le sue innumerevoli caratteristiche, ma che in fondo per me, lavezziano dentro, uso(o usavo) anche per nascondere il suo peggior difetto e per giustificarlo.
La settimana scorsa, dopo tanti martedì accesi, siamo giunti ad una pace armata. Dopo il gol alla Fiorentina l’ho messo praticamente in croce e, trovatosi alle strette s’è fatto scappare una promessa: se il Pocho avesse risolto la partita con il Chelsea e con l’Inter, avrebbe piazzato la foto di Lavezzi, in mezzo a quella di Diego e di Nadia e che si sarebbe genuflesso in adorazione al Genio, al Culo e alla Redenzione. Idea, sempre partita da lui, senza che accennassi a qualcosa del genere. È stata la tipica sbruffonata di chi ha una certezza incontestabile e scommette ciò che non farebbe mai (Lavezzi non segna nemmeno se è da solo in campo…”).

Ora però non so che pensare. Stamattina mi sono presentato come ogni martedì alla sua saletta, ma incredibilmente era chiusa. Fuori un cartello con una scritta (a penna): chiuso il martedì (tranquilli, sto bene di salute). Ho trovato on Ciccillo sconsolato con in mano il solito mazzo di giornali da leggere lì fuori. Gli ho chiesto lumi, ma anch’egli non ha saputo dare risposte soddisfacenti: “dice che sta bene, ma sarà andato in “freva”. Ma può darsi che sarà andato al compleanno di Dino Zoff. Uà Zoff, te l’ho mai raccontato di quando Nembo Kid mi regalò i guantoni, io che ho visto Pesaola, ho visto Pogliana…”.

Lavezzi apre le difese e chiude la pesanti porte di chi non riesce più a criticarlo. Caro Peppino, co’ sta barba sembro Batista e poi le promesse si mantengono…

Ciao Enzo, ciao Ernesto

Forza Napoli Sempre

La 10 non si tocca, anche per Peppino.

Gianluigi Trapani

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