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Caro presidente, hai vinto. Prima i tifosi parlavano della maglia, oggi di prodotto e di profit

Il calcio (il Napoli) si sta trasformando in uno sport simile a un golf club o a un circolo velico. Questo mi terrorizza perché, piano piano, ci stiamo uniformando inconsciamente alla distruzione. Leggendo qua e là, nei blog e nei forum dei tifosi, sento parlare di “prodotto”, “armonizzazione”, “profit”, sento parlare di “domanda e offerta” e di “input e output” . Allora mi viene da pensare che forse era meglio la serie C, almeno lì esisteva solo il calcio “pane e salame” e la pura passione. Senza rendercene conto, stiamo parlando come lui e presto inizieremo anche a comportarci come lui. E la cosa che mi fa più incazzare è la banalità di chi mi risponde: “mica te l’ha prescritto il medico di andare allo stadio”. Come se fosse la pioggia, una tempesta o 100 euro a fermare il cuore. Oppure: “il tifoso ha il potere tra le mani e non lo usa”. E quale potere avrei? Boicottare lo stadio perché ho un minimo di rispetto verso me stesso e verso la mia storia, ma che non servirà a un piffero, perché intanto al mio posto ci andrà un utente che forse non conosce nemmeno chi sia Cavani o il nababbo di turno che compra il pane a 40 euro al chilo e pensa di essere al San Carlo o al supermercato.

Sto veramente male. 30 anni di stadio ed abbonamenti, di sacrifici e di passione che in questo momento sembrano volatilizzarsi. Mi sento un fesso, come quando si scopre l’inesistenza della befana… E pensare, che fino a ieri, ho sempre difeso la società e il presidente. Sempre.

Perché è vero, checché se ne dica, l’artefice di questo miracolo è, lui. Ci ha riportato in brevissimo tempo a rivivere emozioni seppellite negli scantinati della memoria, a riviverle ben oltre le nostre aspettative; ha ripreso un catorcio arrugginito, morto e sepolto e l’ha fatto tornare ad essere una bella e fiammante fuoriserie; ci ha riportato ad essere orgogliosi di questa squadra e di quella bandiera. Ci ha ridato quel poco di dignità e la forza di controbattere chi ormai ci aveva dimenticato. Però, ora, mi sta chiedendo di comprare con l’oro quelle emozioni come se fossero buste di latte e intanto di strappare la bandiera. Sempre tra i commenti dei tifosi, mi ha colpito uno che recitava più o meno così: oggi mi hai chiesto 100 euro e domani? Domani mi chiederai l’anima?

Non è il problema dei soldi che mi affligge, perché per il Napoli ho già tradito il mio portafoglio, ho tradito il mio tempo, il lavoro, la famiglia e la mia compagna, ma non puoi presentarmi un sogno e poi non farmelo toccare. Non puoi chiedermi l’anima, magari infilandola in qualche pacchetto di Sky… se non l’hai già presa e venduta… Non puoi, tu che di questa maglia non conosci niente.

Ma tu sai chi erano Marangon, Frappampina e Rino Marchesi? Sai chi sono il Gringo o la Tota? Conosci la Coppa delle Alpi e come vincemmo la nostra prima Coppa Italia? Conosci le emozioni di un 4-3 sotto la neve all’Udinese o le lacrime di quel primo maggio o il terrore per la sassaiola di Foggia? Lo sai?

Certo, i tempi cambiano e le ideologie non esistono più e fesso io che ancora voglio credere ai simboli e alla Befana. Mentre a breve oltre la mia anima stai già pensando di vendere anche la numero 10 e qualche altro pezzo di storia di cui non conosci il senso e il valore, sfruttando l’iperbole del “marketing”. È dura da digerire.

Fino a ieri eravamo tifosi, ora stiamo diventando utenti. Anche nel modo di parlare.
E non mi interessa Paul Cayard o Severiano Ballesteros. Non mi interessano i saldi dell’Auchan e nemmeno il concerto di Claudio Baglioni. Ridatemi la radio, Varricchio, Rambone e Maradona.

Mi piange il cuore. Attendere 20 anni questo momento e non riuscire ad andare al San Paolo…

Mi hai tradito. M stai uccidendo la passione. Questa non è più la mia Champions, è la tua. Ma, forse, ho sbagliato tutto io.

Domani me ne vado a San Siro…

Forza Napoli Sempre

La 10 e la mia anima non si toccano.
Gianluigi Trapani

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