La mia Manchester, quanto azzurro, il cuore scoppia, gli occhi luccicano

Abbiamo sussultato davanti alla tv per tutto il sorteggio. Abbiamo sperato che il Napoli non uscisse in quel girone dantesco. Qualcuno l’ha chiamato il girone della morte. A Napoli l’abbiamo chiamato in un altro modo che con i morti aveva comunque a che fare. Abbiamo sperato che Lothar non si rivelasse all’altezza del suo nome. […]

Abbiamo sussultato davanti alla tv per tutto il sorteggio. Abbiamo sperato che il Napoli non uscisse in quel girone dantesco. Qualcuno l’ha chiamato il girone della morte. A Napoli l’abbiamo chiamato in un altro modo che con i morti aveva comunque a che fare. Abbiamo sperato che Lothar non si rivelasse all’altezza del suo nome. E invece, girone A. Prima fascia Bayern Monaco. Seconda fascia Villarreal. Terza fascia Manchester City. Praticamente quasi tre prime fasce. Quarta fascetta noi. SSC Napoli. Una squadra da serie C fino a qualche anno fa, una squadra da Champions quest’anno. Non male, ma tornare in questo modo spaventa e fa pensare che avremmo potuto essere quantomeno più fortunati. Ad esempio, l’Inter ha beccato una squadra impronunciabile, praticamente un codice fiscale, come ha giustamente ironizzato qualcuno sul web. Ma non ci scoraggiamo. Dopo un’ora si conosce il calendario e la sera stessa i voli erano già a nome nostro. Andata su Liverpool. Una vecchia conoscenza visto che meno di un anno fa visitammo la città dei Fab Four, tornando col brutto ricordo dei “Fab Three”. Anche questa volta approfittiamo della trasferta europea per salutare amici emigrati in altri Paesi dove hanno trovato maggior fortuna. Il nostro amico di “fede mista a malattia” ci ha riservato un’accoglienza coi fiocchi. In maglia rigorosamente azzurra, bellissima casa, figlia col pigiama del Pocho e un carlino di nome Rocco, ribattezzato subito Roccocò, a tenerci compagnia con il suo cambio pelo e le sue strofinate vicino alla prima gamba a portata di sedere.
Il nostro amico abita in un paesino che si chiama Stone, ad un’oretta circa da Manchester. La squadra più vicina è lo Stoke City. Ci siamo subito informati, non hanno un buon feeling con Manchester e mercoledì faranno il tifo per noi. Siamo nel posto giusto. E lo capiamo anche tre ore dopo, quando ci ritroviamo nel pub operaio del paese, con davanti la terza Carling extra cold, con la sciarpa del Napoli al collo e con un appuntamento preso per il giorno dopo con Joe, un ex poliziotto che vuole accompagnarci a vedere il tempio del calcio di Manchester. Lo United, of course! L’Old Trafford, of course! Peccato che il troppo entusiasmo ha annebbiato il nostro inglese e il suo udito e ha creato un misunderstandings spiacevole per tutti. Lui ci aspettava davanti al 20, noi eravamo al 12. Il destino ha voluto che in atmosfera mancuriana saremmo dovuti entrare solo il giorno dopo, quello della partita. E solo davanti allo stadio del Man City. Va bene così.
Il secondo giorno lo passiamo facendo un giro per Stone, il canale, le barche dei pensionati inglesi, ognuna con un cane a bordo per la guardia notturna. E già pensiamo alle vacanze dell’anno prossimo: fittiamo un’imbarcazione, ci navighiamo i canali da Londra a Liverpool e oltre, e mettiamo Roccocò di guardia. Già lo vediamo lanciarsi in acqua per strofinarsi intorno alla coscia del malcapitato!!
Solite due/tre/quattro birre al pub proletario, “I will Survive” di sottofondo. Una canzone, una speranza per il giorno dopo! E la sera ordiniamo a domicilio fish and chips in quantità industriale per gustarci la prima partita di Champions italiana: Barcellona-Milan. Non faccio in tempo a scendere dal terzo piano dove si trovava la mia camera che entrando in stanza mi danno la brutta notizia. Goal di Pato al primo minuto. Bene. Non ci resta che gufare almeno qualche giocatore. C’eravamo già portati avanti col lavoro nel pomeriggio, quando è arrivata la notizia dello stop di Ibra. “Che peccato! Un così bravo ragazzo!”, abbiamo pensato in coro dispiaciutissimi. E allora ci scateniamo con un po’ di iettatori in divisa, cappuccio e occhiale scuro. Colpiamo Ambrosini e forse anche Boateng. Tutt’appost’! Possiamo andare a dormire sperando che non facciano altrettanto loro il giorno dopo.
La notte si dorme poco. La mattina ci si sveglia con la maglia del Napoli tatuata sulla pelle. Chi vorrebbe già stare fuori all’Etihad Stadium, chi, invece, più abituato agli orari inglesi, ci vuole tranquillizzare. Ma come si fa a stare calmi a sole 12 ore dalla partita?! Di questa partita, poi! Pazzi! E’ impossibile. Cantiamo, ci agitiamo, guardiamo le news su sky. Gargano a Zuniga dentro. Ok! Le finte di Zuzu non le conoscono ancora qui in Inghilterra, può darsi che almeno una gli riesce. Ok! Gargano spezza il gioco a centrocampo e per fortuna a smistare il gioco ci pensa Inler. Ok! Loro hanno Aguero e Dzeko, ma noi abbiamo Lavezzi e Cavani che comunque non sono proprio due scemi qualunque. Ok! Yaya Tourè è una garanzia per loro, ma Hamsik ha una grinta e un piede che è una garanzia per noi. Ok! Lo sceicco del petrolio ha speso milioni e milioni per tanti giocatori fortissimi, che se li sciogli possiamo ricavarci un pieno a testa per ogni tifoso del Napoli, ma De Laurentiis ci sta facendo vivere un bel film con tremila lire di giocatori. Ok! Loro nelle ultime 5 parite hanno segnato almeno 20 goal, ma noi abbiamo Aronica in difesa…No, niente. Questa volta ci teniamo Aronica sperando nel miracolo. “Ma siamo pur sempre una squadra da Champion’s ed è con questi campioni che ci dobbiamo misurare.” Ci diamo fiducia così, in fondo siamo andati lì a sostenere al di là del risultato ed è quello che faremo.
Ore 13. Passaggio per il pub. Il proprietario ci vuole dare l’in bocca al lupo procurandoci una bocca da drago con “chili e carne” piccantissimi. La sua specialità, pare. Ottima, ma abbiamo dovuto abbondare con la birra per spegnere l’incendio e la conclusione è stata un rimbambimento misto ad ansia misto ad emozioni varie prima dell’apparizione dell’Etihad Stadium davanti a noi. E tanta pipì.
Arriviamo verso le 18. Tante sciarpe del Napoli, tantissime del Man City. Tutto era azzurro. E la cosa ci ha riempito gli occhi di un colore magnifico. L’ansia sale e ci avviamo subito verso la fila d’ingresso. Il nostro amico continua a rassicurarci che potremmo stare ancora fuori perché si entra in cinque minuti, ma noi non ci fidiamo. O meglio, abbiamo volato fin lì per vedere una partita di calcio e ora vogliamo viverci il pre-partita come sempre. Sugli spalti, guardandoci intorno, chiacchierando e cantando. E così è stato anche a Manchester.
Curva nostra piena. Il resto dello stadio vuoto. Ecco, aveva ragione il nostro amico, ma noi siamo felici come bambini e tesi come corde di violino.
Ci viene da piangere, ma lo facciamo soltanto quando i nostri entrano in campo e parte la musichetta magica. Ci guardiamo increduli. Allora veramente stiamo in Champions?!
Ebbene sì. Ci siamo e pure con una bella squadra che ha dimostrato di essere all’altezza del milionario Man City. Che ha dimostrato a tutta l’Europa che i soldi non valgono niente se hai piedi buoni, due polmoni inesauribili, un gruppo che si diverte a giocare a calcio tutti insieme, un cuore appassionato, un Aronica miracolato e tremila tifosi così belli.
Eravamo belli. Tanti e belli. Tanto belli da meritare l’applauso degli avversari a fine partita. Ed è stato un applauso prolungato, sportivo, emozionante. Abbiamo gridato, pianto, urlato. Ci siamo abbracciati, baciati, stretto mani e regalato sorrisi. Abbiamo ringraziato i ragazzi e abbiamo ringraziato i poliziotti per l’organizzazione perfetta e la gentilezza che non siamo abituati ad avere nei nostri stadi.
Siamo atterrati a Napoli il giorno dopo ancora con la sciarpa al collo, nonostante il caldo afoso, e felici di aver portato un punto a casa. Ma soprattutto soddisfatti perché è stato tutto perfetto.
Mi hanno detto che la differenza tra il Man United e il Man City la fanno i tifosi: i primi più “borghesi e altolocati”, i secondi più proletari e di classi socialmente disagiate. Io non lo so se questa generalizzazione sia vera, ma mi sono resa conto da subito che non era solo l’azzurro in comune a riempirmi l’anima.
Domenica sera abbiamo il Milan al San Paolo. Saremo di nuovo tanti. Saremo di nuovo belli. Molti saranno stati anche a Manchester, come me. Molti altri non vedranno l’ora di ascoltare i nostri racconti. Altri ancora diranno che abbiamo perso un’occasione e infine ci sarà chi pensa già agli incastri possibili per passare il turno. Ma ognuno di loro con gli occhi ancora luccicanti per l’emozione. Questo è lo stadio per me ed è per questo che ogni volta mi sento a casa.

Deborah Divertito

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