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Perché il contributo di solidarietà devono pagarlo i calciatori (anche Higuain)

Un articolo del 2011 in cui si speiga perché il ricorso di Higuain nei confronti del Napoli non può essere accettato

Perché il contributo di solidarietà devono pagarlo i calciatori (anche Higuain)

Riproponiamo un articolo scritto nel 2011 da Antonio Patierno per il Napolista. Un articolo proprio sul contributo di solidarietà, per una polemica portata avanti dall’avvocato dei calciatori Grosso. Lo scritto è valido ancora oggi e spiega perché il ricorso di Higuain nei confronti del Napoli di De Laurentiis non può essere accettato.

L’altra notte ho fatto un sogno strano. Ho sognato che i calciatori più rappresentativi, gli attori più famosi, gli anchorman televisivi, i presidenti miliardari del calcio e della formula uno, i Del Vecchio i Della Valle, insomma tutti i ricchi che popolano l’immaginario mediatico del nostro tempo, si fossero uniti in una fantastica iniziativa, quella di concorrere insieme al salvataggio dell’Italia dal default economico, offrendo ciascuno una parte delle loro eccedenze patrimoniali, insomma una specie di patrimoniale volontaria, assolutamente democratica, rispetto a quella lontana della offerta dell’oro alla Patria. Naturalmente come tutti i sogni muoiono all’alba, ma anche se il risveglio mi ha riportato crudamente nella realtà dei nostri giorni, non ho voluto distaccarmi del tutto da questo immaginifico scenario.

E così durante il rito propiziatorio della preparazione del caffè, in quella fase kunderiana di passaggio al lucido approccio alla realtà sensoriale ho iniziato a pensare che forse tutto sommato quel sogno in realtà era soltanto la premonizione di una gigantesca iniziativa mediatica portata avanti da quella moltitudine di ricchi che, a vario titolo, nel condannare la manovra finanziaria decretata si sono offerti generosamente in olocausto, sollecitando una vera patrimoniale a carico di quelli che possiedono grandi ricchezze e soprattutto contro gli evasori, che probabilmente loro conoscono bene, perché è inevitabile che tra ricchi ci si frequenta.

Mentre viaggiavo tra realtà e fantasia, ad un tratto, ho sentito in diretta sul TG SPORT 24 di SKY il vicesegretario dell’assocalciatori avvocato Grosso che, parlando del contributo di solidarietà, ha affermato testualmente come dato inoppugnabile che: “se per contratto il compenso concordato è al netto, allora il contributo di solidarietà andrà pagato dalla società”.

A quel punto sono tornato come d’un colpo sulla terra e sentendo poco dopo Galliani parlare di posizioni contrarie ad ogni principio etico, sono stato preso dal panico perché ho sentito vacillare ogni contraria certezza che avevo raggiunto in proposito.

Cosa dice la legge

L’unico rimedio era quello di leggere il testo del decreto-legge 13 agosto 2011 n.138. La lettura del decreto ha ripristinato fortunatamente l’antica certezza, non avevo dubbi che anche i calciatori devono pagare il contributo.

Il motivo è presto detto. Il contributo di solidarietà, anche se ha natura sostanziale di imposta, colpisce il reddito complessivo del contribuente non quale corrispettivo di un servizio fornito dalla Pubblica Amministrazione, ma con una finalità esclusivamente solidaristica e quindi assolutamente personale. Il prelievo, per il suo carattere straordinario e solidale, colpisce il patrimonio complessivo del contribuente come manifestazione della sua capacità contributiva e non i singoli redditi che lo costituiscono. Formalmente, perciò, non può essere considerato una vera e propria imposta, tanto è vero che il legislatore è ricorso ad una norma di rinvio, stabilendo nell’articolo 2 del decreto che “per l’accertamento, la riscossione e il contenzioso riguardante il contributo di solidarietà si applicano le disposizioni vigenti per le imposte sui redditi.

E’ evidente che se si fosse trattato di una semplice addizionale trovavano applicazione de plano le disposizioni vigenti nel T.U.

Peraltro ad ulteriore dimostrazione che il prelievo non può essere posto a carico delle società soccorre ancora lo stesso testo del decreto che prevede la deducibilità del contributo dal reddito complessivo, per cui se si opinasse il contrario il calciatore, deducendo dal suo reddito l’importo del contributo pagato dalla società, realizzerebbe paradossalmente un incremento retributivo.

Divieto assoluto di traslazione delle imposte

Da ultimo e non per l’importanza dell’argomento, tutto quanto fin qui detto potrebbe essere irrilevante soltanto a voler considerare che nel nostro ordinamento tributario vige il principio generale di divieto assoluto di traslazione delle imposte.

La Corte di Cassazione a Sez.Un. con la sentenza risalente al 26/6/1987 n. 5652 ha sancito in maniera assoluta il divieto di traslazione delle imposte quale che sia lo strumento negoziale azionato allo scopo, statuendo che l’applicazione del criterio della progressività delle imposte, rende personale ed infungibile l’obbligo relativo e rende illecito qualsiasi comportamento difforme, oltre che nulle ex art.1418 cod.civ.eventuali convenzioni contrarie.

Sta di fatto quindi che qualsiasi accordo economico che dovesse prevedere tecnicamente l’accollo a carico delle società delle obbligazioni tributarie del calciatore sarebbe assolutamente nullo.

In conclusione quindi, con buona pace di quanti a chiacchiere vogliono salvare il paese, anche i calciatori devono pagare il contributo di solidarietà.
Antonio Patierno

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