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Dalla solitudine di Lucca ai 20.000 di Bologna

Avere la freddezza per raccontare la trasferta favolosa di Bologna è impresa titanica. Sì, perché discernere parole dal miscuglio di emozioni che mi ha invaso, sarebbe come tenere in mano un bicchiere d’acqua e spiegare l’Oceano. E parlare di acqua salata, in un luogo come Bologna, sarebbe assurdo. La bella e cordiale città emiliana, per un giorno, ha invece conosciuto il suo effetto. Clima estivo,  30°, bermuda, bibite fresche e gelati, e ieri, solo per ieri, la città ha provato anche l’ebbrezza di essere inondata dal mare. L’Oceano azzurro, appunto.

Il Napoli, questo Napoli, mi riconcilia. E’come se questa passione finalmente abbia di nuovo avuto ragione. Gli interessi, i contratti, gli sponsor, le prove tv e le intercettazioni telefoniche, costantemente minano  questo sport della credibilità e spesso, del vero e proprio senso.  In giornate come quella di ieri, invece, le carte sporche e i veli del sospetto si disciolgono e lasciano per un paio d’ore il palcoscenico alle emozioni. Quelle pure, grezze, vere. Ho difficoltà a spiegare, ma le immagini dello stadio ricoperto per tre quarti da bandiere, striscioni e palloncini azzurri e i cori che accoppavano  qualsiasi altro suono, mi ha fatto tornare indietro di 20 anni e quelle sensazioni,di sicuro, saranno ricordate a lungo. Anche fino al prossimo titolo della Giuve.

E’impossibile descrivere ciò che ho provato, dicevo. L’attesa spasmodica in settimana aveva ingigantito l’ansia e questa, una volta sfogata, prima, durante e dopo la partita, ha creato un dolce subbuglio dentro di me indecifrabile. E allora, per evitare, che questo si tramuti in un foglio da libro cuore o un attestato d’amore incomprensibile che rasenti il patetico, mi affido alle citazioni della mia banda e il meraviglioso mondo partenopeo circostante. Tralascio le bestemmie del Giuffrè e mie, riguardo il pasto consumato presso un camioncino a pochi metri dallo stadio. Panino con hamburger in cui non si distinguevano i sapori e una birra che di birra aveva solo il colore, non meritano ulteriori commenti. Commento che invece ottiene la lunghissima fila fuori i distinti, da cui fuoriusciva uno sbiadito rosso-blu solo ogni 50 metri e più. Catapo, sbalordito da quella fiumana ha detto: “E’ impressionante. Questo esodo è già una vittoria. Pensaci un attimo a Lucca quando eravamo io e te”.

Siamo entrati nel settore ospiti, un’ora e mezza prima dell’incontro. Dopo aver vivisezionato tutta la curva, il Giuffrè ha individuato i posti migliori. Ho capito il motivo solo quando mi ci sono seduto.I due signori dietro di noi, immersi nelle loro letture sportive, costituivano un ombrellone perfetto. Uno somigliava a Bud Spencer e l’altro a Galeazzi. Il sole alle nostre spalle è stato meno assassino, ma il caldo non ha avuto pietà. Tant’è vero che ho pensato a Carlo Cafiero quando il giorno prima mi ha detto: “portati il costume”. Ma anche il secchiello e la paletta, avrei aggiunto. Meraviglioso il Catapo, ieri in gran forma. Nel giocoso e divertente siparietto che s’è venuto a creare con il simpatico Germano(di un Posto al Sole), ad un certo punto gli ha piazzato la macchina fotografica in mano e gli ha chiesto uno scatto. Contento l’attore  ha risposto che finalmente poteva essere lui il fotografo e non il contrario. E il Catapo, strepitoso, gli ha subito proposto ridendo:  “visto che ci tieni tanto, dopo ti firmo anche un autografo(?!). Il Taca, invece, è stato un po’ più sulle sue, ma nelle poche occasioni in cui si è espresso, ha subito sbaragliato la concorrenza: “Ma lo stadio si chiama Dall’Ara, per via di Tony Dallara?” e poi, durante la partita: “albitro, ammonilo, ammonilo!”. Eccezionale. Zio Gerry, che invece è stato costretto a malincuore ad assistere la partita in tribuna nei pressi della famiglia Cavani, all’uscita mi ha confidato: “Ora sarà chiaro a tutti, chi è l’unico insostituibile della squadra(Pocho n.d.r)”.

Della partita è stato detto di tutto. Ho apprezzato molto Ruiz, di cui non si può che prevedere un roseo futuro; Yebda, che secondo me, ha giocato la migliore partita da quando è in azzurro; e Mascara, che in queste ultime due gare, si è ritagliato uno spazio importantissimo e sta ripagando alla grande. Ma la squadra, in toto, ha giocato come doveva e come sapeva. E riuscire a vincere, giocando bene, senza il Matador, uomo di punta, non può che farmi continuare a sperare e sognare.

Al termine, però, completamente inondato dall’oceano di cui sopra e dalla tempesta emozionale di cui sopra, un barlume di lucidità, l’ho avuto. Gli azzurri, a fine gara, sono venuti sotto la curva. Felici, abbracciati e soddisfatti . Ma non ho notato scene euforiche da appagamento , il che, dalle nostre parti, rappresentano un evento. Mi hanno dato l’idea che festeggiare una battaglia per loro sia sacrosanto, ma la concentrazione e l’equilibrio non devono mai essere persi di vista. C’è una guerra (sportiva) da combattere, eh. Tutto ciò mi ha rincuorato e un po’ li ho invidiati: l’equilibrio io l’ho perso ormai da una settimana abbandonante. E su questo tema, faccio intervenire il Minao che abbracciandomi in quel momento m’ha detto: “io ci credo, loro di più e tu?”. E io? E io, se li vedo così, come faccio a non crederci. E il Giuffrè: “ho capito, ma il Milan su sei partite, due non deve vincerle, quali?”. Eh, quali? E chi sa rispondere?

Unica nota stonata della favolosa trasferta bolognese: si è scaricato il cellulare. Per cui saluto qui, oltre la mia immensa banda, anche chi non sono riuscito ad incontrare: il Vate e Francesco Grande in primis. Il Gallo e Roberto Napoli che ho intravisto tra primo e secondo tempo. Gabriella e Marco Florio e i ragazzi del mitico Club Napoli di Piano di Sorrento. E chiudo ringraziando il simpaticissimo Germano autore di questa foto e il messaggio che ho potuto leggere solo stamattina di Carlo Cafiero:  cantare “siete ospiti” al Dall’Ara non ha prezzo”. Il sogno continua.

Gianluigi Trapani

Forza Napoli Sempre

La 10 non si tocca.

15-05 didascalia, da sx a dx: Gianluigi Trapani, Catapo (in alto), Giuffré, Varsavia,  Minao

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