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Al bar sul Tevere i romanisti manco contestano

Era l’altro secolo, il 1993. C’erano la “prima Repubblica”, Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale, Tangentopoli e le bombe politico-mafiose. Il Napoli se ne stava sui gradini medi della classifica, lontano da lotte impegnative. Quando affrontò la Roma all’Olimpico, tre azzurri andarono in gol: Buso, Di Canio e Ferrara. Si vinse per tre a due. Ma fu l’ultima meta. Da quel giorno, niente più vittorie sui giallorossi, ai piedi di Montemario. Una generazione di nuovi tifosi, i diciottenni di oggi, mai aveva potuto provare il gusto di battere i capitolini in casa loro. Fino a quando dagli spogliatoi dell’Olimpico non è uscito questo Napoli “uno per tutti, tutti per uno”, determinato, incisivo, combattivo. Con un goleador di nome Cavani. In curva, il tripudio dei napoletani del Lazio, abituati a convivere con le soverchianti visioni calcistiche di romanisti e biancocelesti, venate di sarcasmi e snobismi striscianti. La vittora sulla Roma cancella ogni frustrazione per la brutta partita con la Lazio e ripropone stati d’animo sereni e pacificati. Così, il post-partita ci porta nel solito bar del lungotevere, disertato durante la diretta tv (meglio lo stadio) ma ora, a partita chiusa, affollato di reduci dall’Olimpico. Siamo i soliti quattro napoletani de Roma, però avvertiamo subito qualche presenza amica. Pochi minuti per conoscere Antonio di Frascati, Pino di Grottaferrata, Peppe di Ostia. Tifosi azzurri “fuori regno”. Ma intorno a noi, facce chiuse, commenti avvelenati.Tutti sulla graticola, da Ranieri ai giocatori. E alla società, che non decolla. I pischelli del bancone, con espressioni scure, informano la gentile clientela che noi siamo per il Napoli. Un attimo di sospensione silenziosa, di lieve imbarazzo. Ci aspettiamo sguardi risentiti, forse qualche parola di ostilità irridente o di sarcasmo trasteverino. Solo un attimo. Poi ci tocca,invece, provare una sensazione di dolce calore, di morbida gioia, di tranquilla contentezza. I romanisti ci osservano senza parlare, gli occhi un po’ lucidi, la piega amara agli angoli della bocca. Ci invidiano, ecco cos’è. Non hanno più parole, sanno che c’è poco da dire o contestare. Ci invidiano e rinunciano a ogni attacco verbale. Li guardiamo anche noi, silenziosi ma felici. Abbiamo segnato due gol, un altro è stato sfiorato, si è data dimostrazione di buon gioco. Ma, soprattutto, abbiamo vinto. Era dal 1993… Mimmo Liguoro

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