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Hanno giocato al gatto col topo

Il giorno dopo, se possibile, è ancora più amaro. L’unica cosa che lo rende un giorno nerastro e non nero pece è che si tratta di un venerdì, perché se oggi fosse lunedì non riuscirei ad affrontare un’intera settimana con il 3-1 nelle gambe, invece dopodomani torniamo in campo ed io al San Paolo. Alcune considerazioni sono comunque d’obbligo. In primo luogo sono stupita dalle doti da sensitiva che ho avvertito nell’aria negli ultimi giorni. Il sogno che ho fatto l’altra notte, per esempio, è ormai ovvio si riferisse al ciuccio. Era sua la testa mozzata che mi ha fatta svegliare di soprassalto ieri mattina. Avevo visto i denti raglianti che mi avevano fatto pensare a Ronaldinho, e la posizione scomposta del corpo che mi aveva ricordato un corpo umano, ma no, era il ciucciariello nostro con le quattro zampe tutte dallo stesso lato. Non era, dunque, la testa di Fabio, come alcuni di voi hanno ipotizzato dopo il suo infortunio. Eppure me lo sentivo. Non che si rompesse un ginocchio, ma che non sarebbe stato in campo, sì, per un motivo o per un altro. E devo dire che sono contenta, al di là di quanti di voi sono incazzati o dispiaciuti di non poterlo fischiare. Se quello che dite tutti della Juve è vero, basta fischiare le loro maglie, non importa chi le indossa. Io mi accontento di fischiare quella serpe di Del Neri, che per me è l’emblema di una squadra intera. E sono contenta anche per un motivo molto più becero, perché sono frevaiola e se Quaglia avesse segnato, domenica – e sono certa l’avrebbe fatto – non avrei tollerato una sua esultanza ma neppure un suo silenzio, tantomeno un dito mosso. Occhio non vede cuore non duole, mettiamola così (prima che vi avventiate contro di me: agosto 2010, sono stata tra i primi ad accusarlo di tradimento, occhio..).
Capitolo Napoli. Non starò a fare l’Inquisizione e a cercare quanti tra voi non hanno rispettato il rito. Sono colpevole in prima persona. La fretta di mettere a letto i bambini prima del fischio d’inizio, ieri, mi ha fatto dimenticare di girare il nove di bastoni sulla tv. Di questo non mi perdonerò mai, perciò siate clementi e perdonatemi innanzitutto voi. Epperò. E però non è giustificato l’atteggiamento dei nostri che, semplicemente, ha ragione Trapani, ieri non ci credevano abbastanza. Sono entrati male in campo. Si sono lasciati intimorire da quei cinque trofei messi lì smargiassamente che in un sms a Gallo prima della partita speravo fossero colpiti da una bomba carta napoletana.
Cattivo gusto di cui solo gli interisti e pochi altri sarebbero capaci, secondo me. È stato lì che hanno iniziato a giocare al gatto e al topo. Ma tant’è: si chiama calcio, competizione, ci sta anche questo. Come ci sta la sconfitta, beninteso. Leonardo mi piace e ha saputo metterci il sale giusto, l’olio e pure il pepe. L’Inter di ieri era un’altra squadra. Come il Napoli, del resto: senza luce, senza illuminazione e senza Dio. Voglio dire un’ultima cosa. La voglio dire perché era una cosa che mi preoccupava dal giorno prima e per cui qualcuno mi ha anche presa in giro. Ero in tensione per il rientro di Lavezzi. E a modo mio avevo ragione. L’ho sempre detto che la squadra senza grossi campioni funziona meglio che con uno che viene osannato come padreterno dentro. Nulla voglio togliere al valore del Pocho, sia chiaro. Ma senza di lui i nostri lottavano tutti, ieri invece lo cercavano troppo. E poi Hamsik nel tridente gioca troppo dietro e questo proprio non mi va. È questo che è mancato ieri: il considerarsi una squadra. Erano molto sull’onda della mentalità napoletana degli ultimi tempi: “affidiamoci alla Madonna”, che ieri voleva dire affidiamoci a Ezequiel. Mi fa incazzare una cosa così.
Venerdì. Voltiamo pagina. Dopodomani c’è da portarli alle stelle. Crediamoci di nuovo. Ma stavolta per bene, però. Forza Napoli. Sempre.
Ilaria Puglia

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