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Da Gonella a Valeri
Noi, gli arbitri e l’Inter

Sempre l’Inter. Si chiamava, alle origini, Ambrosiana. E non certo perché destinata a spargere le delizie dell’ambrosia, cibo e profumo degli dei dell’Olimpo, bensì per onorare l’assistenza di sant’Ambrogio, patrono di Milano.Benevolo già dai tempi del “catenaccio”, quando l’allenatore Alfredo Foni prese a modello il “verrou” svizzero e vinse lo scudetto con un’Inter chiusa in difesa e feroce nel contropiede. Gli avversari  giocavano, attaccavano, si sfiancavano, poi un guizzo e i meneghini si portavano a casa l’1 a 0. In quei tempi il loro centravanti, Benito Lorenzi, aveva un soprannome non casuale, lo chiamavano Veleno. E ho detto tutto, avrebbe commentato Totò. Altri campionati, altre storie. Venne l’epoca degli arbitri che non vedevano. O che vedevano troppo, a seconda dei casi. Una tipologia resistente. Per esempio, Valeri ieri non ha visto il fallo su Maggio, spinto e abbattuto ai limiti dell’area milanese. E gli è anche sfuggito un clamoroso fallo di mano in piena area di rigore interista. Però è riuscito a vedere e valutare, insieme al segnalinee, la punta della scarpa di Cavani più avanti di un millimetro circa rispetto a quella del difensore. Dunque, fuorigioco. Il calcio è fatto di episodi grandi e piccoli e bisogna accettarli. Ma l’Inter sfida il tempo e spesso dove passano le maglie nerazzurre resta una scia di impalpabile veleno. Era il marzo del ’71 quando un bel Napoli salì a san Siro in lizza per la prima posizione, in gara con le “grandi”. Azzurri in vantaggio con Altafini, poi l’arbitro Gonella prese le redini della partita. Un’azione in area partenopea, un fischio perentorio: rigore per l’Inter. Perché? Per quale fallo? Che era successo? Nessuno lo seppe mai ma Boninsegna tirò dal dischetto e battè Zoff. Poi lo stesso “Bonimba” raddoppiò, tre minuti dopo. Partita chiusa, scudetto addio. Le proteste, l’ira di Ferlaino, le critiche degli osservatori furono inutili, naturalmente. I nerazzurri campioni, il Napoli terminò al terzo posto, applaudito ma abbastanza avvelenato. Ah, l’ Inter… Mimmo Liguoro

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