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Cavani, il centravanti
che cammina sui palloni

Io l’ho visto prendere palla ai venticinque metri, fare un piroetta su se stesso e calciare di destro, come tanti anni fa faceva un centravanti brasiliano. Poi l’ho visto dall’altra del campo, sotto la mia Nisida, recuperare un pallone in difesa, dribblarne secchi due (tra cui Pastore) e uscire a testa alta, come tanti anni fa – ancora più in là col tempo – faceva un olandese con la maglia numero cinque. Poi l’ho visto ancora ricevere palla poco dentro l’area e servire una palla su cui c’era scritto “basta spingere”, e qui non dico chi le faceva queste cose perché non sono blasfemo. Io l’ho visto ovunque, a destra e a sinistra, avanti e indietro, e anche nel mezzo. Mai un gesto eccessivo, né di giubilo né di disperazione. Col suo passo, come se fosse in pace col mondo, come se vivesse con un’altra consapevolezza. Come se quella partita, il suo lavoro, fosse solo un dono da offrire a qualcuno.
Sembra strano parlare di queste cose sul Napolista, ma – si sa – siamo un sito un po’ sui generis. Siamo malati di pallone, ma qualche libro lo leggiamo e magari ci poniamo persino delle domande. Ecco, io a tal proposito vorrei dire che tra i tanti quesiti che mi sono posto nella mia esistenza, pochi sono stati dedicati alla religione cattolica pur essendo stato un entusiasta lettore del Vangelo. Le gerarchie non mi hanno mai affascinato. Ma le persone che vivono di fede sì, e tanto. Molte volte mi hanno colpito. Ma non capita spesso di imbattersi in una così diretta corrispondenza tra i proclami di un credente e il suo comportamento nella vita quotidiana.
Merito di questo ragazzo dell’Uruguay, evangelista, che legge la Bibbia e dà lezioni di vita e comportamento persino su un campo di calcio correndo appresso a un pallone. E lo so, qualcuno storcerà il naso, ma per me il calcio non è solo calcio. Altrimenti non mi appassionerebbe. Uno come lui non lo avevo mai visto, anche se ieri sera qualcuno ha avuto da ridire perché non ha segnato. La nostra, si sa, è una piazza particolare.
L’ho paragonato al Grande Capo di Qualcuno volò sul nido del cuculo, l’indio che si fingeva sordomuto nel manicomio e che tornò a sorridere in quella mitica partita di basket con Nicholson col cappellino. Cavani è come il Grande Capo, attraversa il campo ad ampie falcate, mettendola dentro e tornando a evitare che gli avversari facciano lo stesso. Senza mai un eccesso, ripeto, un gesto fuori luogo, senza mai concedere un nulla alla pura estetica. Lui gioca affinché la squadra vinca. E dà tutto se stesso. Sempre concentrato. Un atleta di Cristo, col fisico che ricorda anche un po’ l’immagine sacra, così lontana dai calciatori di oggi, gonfi, muscolosi e patinati. Una persona che emana una luce particolare. Credo di non averlo mai detto di un calciatore.
Massimiliano Gallo

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