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Aurelio per la befana noi ci crediamo, e tu?

Bella ed entusiasmante la trasferta di Genova, stavolta. Le debacle degli anni scorsi sono ormai un lontano ricordo ed anche questo ultimo antipatico tabù è stato sfatato. Mentre scrivo ho ancora gli occhi a cuoricino che sbatacchiano velocemente. Quella perfetta torsione del collo alla Beppe Savoldi del nostro meraviglioso slovacco ancora mi brilla nelle pupille e ciò non permette di esprimermi con estrema lucidità. Ecco, lucidità e personalità. Questi sono gli elementi che sono emersi dalla partita di sabato. In tutti i giornali, ieri mattina, il leit-motiv degli articoli si incentrava su queste caratteristiche. La capacità di soffrire e di mantenere il risultato insperato fino alla fine col coltello tra i denti. Ciò che invece piace sottolineare a me, oltre a queste doti, è la grande versatilità della squadra e la capacità di adattarsi a seconda dell’avversario e delle situazioni che si vengono a creare. La famosa interpretazione della partita che più volte è mancata ai nostri giovani nei momenti cruciali, specie la passata stagione. Il camaleontico fantaNapoli di Mazzarri, che impernia il proprio gioco principalmente sulle ripartenze veloci, ha imparato nel corso del tempo ad essere paziente, cinico e spietato con le “piccole” restie ad aprirsi e capace di imprimere il proprio ritmo forsennato, facendo leva sul fraseggio, con le formazioni dai piedi buoni, ma che concedono il fianco. Sabato il Napoli ha fatto di necessità virtù. Con il 70% del potenziale offensivo a Castelvolturno, senza troppo snaturarsi, ha saputo giocare da Grande con animo operaio. Vincere una partita a Marassi, in quell’ambiente e in quelle condizioni, è da seconda in classifica, seppur in pessima compagnia. E questo non può che lasciar spazio a idee balzane e sbalorditivi sogni ad occhi aperti… o incubi. L’intero pre-gara ha avuto un solo argomento di discussione “chi sostituirà il pocho?”. Ho pensato che stesse facendo pretattica lo zio Walter, quando venerdì ha comunicato che Zuniga era in cima alla lista dei suoi pensieri. I ricordi nefasti di Bucarest, in cui le piroette spaziali si erano spostate dalla fascia al centro del campo, mi hanno indotto a pensare che mai più un esperimento del genere potesse essere riproposto. E invece, dal posto del settore ospiti in cui mi ritrovavo, nonostante la posizione non mi permettesse di ammirare tutto il campo, ho potuto, ahimè, vedere l’ingresso di Camillone con un ipotetico numero 10 dietro le spalle (quando l’ho detto, il mio vicino di posto ha rabbrividito e mi ha guardato con aria di schifo). Ammetto di avergli augurato un improvviso imbarazzo di stomaco o una temporanea e leggera febbre, giusto per toglierlo dal supplizio che di lì a poco l’avrebbe visto facilmente protagonista. Chiedergli di fare il Lavezzi, insostituibile, sarebbe stato follia, un po’ come chiedere a Gargano di andare, in una ipotetica partita di volley, a muro sullo schiacciatore. Stiamo parlando di un altro gioco, di un altro sport, di un altro mestiere. “Mazzarri ha bevuto” ho pensato più volte. E invece, lo zio c’ha visto lungo. Il Pocho ci è mancato come il pane, è chiaro, se n’è accorto anche chi abitualmente porta gli occhiali e allo stadio, stranamente, ne è venuto privo (il riferimento al Gallo è del tutto casuale), ma il lavoro che ha chiesto l’allenatore a Camillone credo che sia stato svolto in maniera egregia e degna: movimento per gli inserimenti di Hamsik e Cavani e occhio a Veloso e Criscito. E poi, quando la partita s’è messa sul binario giusto, il lavoro dello pseudo numero 10 di giornata si è rivelato ancora più prezioso. D’altro canto, c’è anche da dire che il Genoa palla a terra e velocità è un ricordo perso nel tempo e il Gasp è già un rimpianto. A parte le rare sortite di Criscito e i primi 10 minuti di Rudolf, i cross dal fondo sono stati una chimera per i rossoblu. L’unico schema possibile è stato “campanile su Toni”, sperando che la zucca o la natica di San Luca facesse un miracolo. In qualche occasione si è creato il panico davanti alla porta di De Sanctis, ma la creuza buia in cui si è infilato Ballardini non ha portato i risultati sperati. Non c’è riuscito nemmeno l’usuale atteggiamento di alcuni calciatori genoani a invertire le sorti di una gara segnata. Il solito Milanetto, che inspiegabilmente riesce per l’ennesima volta a finire la partita senza cartellini (pregherei in proposito Di Giacomo di controllare nei suoi file segreti se ci sono gradi di parentela tra il centrocampista genoano e il signor Brighi), con il solito protestare ad oltranza non ha avuto seguiti disastrosi: una ingiusta espulsione di Pazienza e stavolta nessun rigore, eh. Ho avuto l’impressione che con  questa difesa granitica anche un improvviso intervento divino sarebbe stato del tutto inutile. Poi sofferenza, tanta sofferenza, e chili e chili di ansia in corpo. Quei palloni scodellati sul testone di Toni sul finire di gara, mentre ci difendevamo in dieci, creavano un’apprensione terribile e i minuti sembravano non passar mai. Ma al termine, con un po’ di fortuna, tanta grinta ed intelligenza si è riusciti a sfatar l’ultimo tabu. I ragazzi sono riusciti a conquistare una grande vittoria e a regalarci una gioia indescrivibile e l’applauso dei tremila accorsi è stato l’apice della felicità. Ci avrei passato volentieri la notte in quello stadio, pur di non scrollarmi di dosso quella sensazione beata. Prima di uscire poi, per sancire ancora una volta l’eterna amicizia che ci lega da anni, i tifosi genoani sono venuti sotto la nostra postazione per applaudire. Prima, durante e dopo l’ospitalità è stata come sempre impeccabile. Reciproci saluti, reciproci cori, reciproci applausi e reciproci amichevoli striscioni. A parte queste belle effusioni che fanno da cornice e supporto ad un bellissimo ed indissolubile gemellaggio, voglio esprimere per concludere, le mie motivazioni sull’argomento che vanno un po’ al di la della semplice cortesia di campo. Non saranno i risultati ad incrinare i rapporti di queste due storiche e splendide tifoserie, non è possibile, ho le prove: dopo averci ospitato in casa loro prima della gara offrendoci birre, dopo aver visto la loro squadra perdere, dopo averci offerto una cena a base di trofie al pesto, formaggi, salumi di ogni genere (tra cui l’ottima cima) e vino a fiumi, dopo averci chiesto “ragassi, se volete rivedere la partita, l’ho registrata…”, dopo che hanno lavato i piatti, dopo averci ospitato la notte e aver trasformato il loro salotto in un accampamento, dopo che la mattina ci hanno congedato con un pacchetto di pasta fatta a mano e un vasetto di pesto cadauno e dopo averci offerto la colazione, dopo tutto questo, ditemi voi, Federico e Taca, posso non considerarli fratelli amici grifoni? Eccezionali. Caro presidente Preziosi, il tuo ultimo giocattolo s’è rotto. Zucolini, la tua bomba di mercato, non è servito a ripararlo e tra poco Criscito e Ranocchia col trenino se ne andranno, ciuf ciuf, ora dimmi tu, state inguaiti e pure il manico hai voluto cambiare? Esonero del Gasp e la lanterna in mano a un cecato… e lì, dovresti saperlo, di lanterne se ne intendono. Povero Genoa. Caro Aurelio, è quasi la befana, noi ci crediamo, e tu? Forza Napoli Sempre Gianluigi Trapani

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