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Vajassa e affini, l’epiteto che va di moda

Colpito dal vespaio che à suscitato l’uso dell’epiteto vajassa fatto dal ministro Mara Carfagna, epiteto rivolto all’onorevole Alessandra Mussolini, per non lasciar solo Raffaele La Capria a pontificare sul termine de quo, entro nella faccenda per chiarire che la signora Carfagna è stata fin troppo generica nel lanciare la sua offesa e che se avesse voluto essere piú precisa e circostanziata avrebbe dovuto rivolgersi alla Mussolini dicendole
SÎ ‘NA VAJASSA D’ ‘O RRE ‘E FRANZA
Letteralmente: Sei una serva del re di Francia. L a frase infatti  è un’offesa gravissima, forse la massima  che si può rivolgere ad una donna  e con essa frase non solo si intende dare della puttana alla donna, ma accusarla anche di essere affetta dalla  sifilide o lue .
Tale malattia è stata nei corso dei secoli chiamata dai napoletani mal francese, morbo gallico o celtico; i napoletani sostenevano infatti  che detto morbo era stato importato in Napoli dai soldati al seguito di Carlo VIII; per converso il morbo era detto dai francesi mal napoletano poiché affermavano che il morbo era stato diffuso tra i soldati francesi di Carlo VIII  dalle prostitute partenopee. Veniamo alla voce
vajassa= letteralmente: serva, fantesca  ma per estensione semantica donna becera, ciana e poi meretrice; voce dall’arabo: baassaattraverso il francese bajasse da cui        l’ italiano trasse  bagascia= meretrice. Da rammentare che morfologicamente nel napoletano si à spesso l’aternanza b/v o v/b ( cfr. barca→varca vocca←bocca etc.) come è normale l’epentesi d’ un suono eufonico  transitorio (j) tra due vocali; la voce francese bajasse offrí bella e pronta l’epentesi occorrente nell’arabo baassa che rimane la voce di partenza.
Preciso in coda a questo mio  che se la signora Carfagna avesse voluto essere piú precisa e/o circostanziata, avrebbe potuto scegliere tra uno dei seguenti icastici epiteti che qui di sèguito prendo in esame scegliendoli tra le molte parole napoletane usate quali  epiteti rivolti soprattutto verso le donne o in uso scambievole tra le donne del popolino della città bassa.La prima voce di cui mi sovviene è lòcena e riporto quanto ebbi a dire alibi  circa la voce lòcena e dintorni e che qui, per rapidità di consultazione, ripeto ( la lòcena pur essendo un taglio di carne gustosissimo, è un taglio che, ricavato dal quarto anteriore della bestia, il meno pregiato e meno costoso, è da ritenersi di mediocre qualità, quasi di scarto, e di tutti i vari nomi con cui è connotato in Italia, quello che piú si attaglia a simili minime qualità, è proprio il napoletano lòcena.
Etimologicamente infatti la parola lòcena nel suo precipuo significato di vile, scadente è forgiato come il toscano ocio/a ed i successivi locio/locia (dove è evidente l’agglutinazione dell’articolo) sul latino volgare avicus mediante una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di scarto; da locio a locia e successiva locina con consueta epentesi di una consonante (qui la N) per facilitare la lettura, si è pervenuto a locina→lòcena.
Chiarito il concetto di partenza, passiamo al significato traslato: fu quasi normale in un’epoca: fine ‘500, principio ‘600 in cui la donna non era tenuta in gran conto (a quell’epoca risalgono, a ben pensare, quasi tutti i proverbi misogini della tradizionale cultura partenopea …), trasferire il termine lòcena da un taglio di carne di scarto, ad una donna… di scarto, quale poteva esser ritenuta una donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione,una donna di malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale..
Rammenterò che altrove, con linguaggio piú pungente se non piú crudo, tale tipo di donna è détto péreta, soprattutto quando quelle sue pessime qualità la donna le inalberi e le metta ostentatamente in mostra; le ragioni di questo nome sono facilmente intuibili laddove si ponga mente che il termine péreta è il femminile metafonetico  di píreto (dal b. lat.:peditu(m)) cioè: peto, scorreggia che sono manifestazioni viscerali rumorose rispetto alla corrispondente loffa (probabilmente dal tedesco luft – loft= aria) fetida manifestazione viscerale silenziosa, ma olfattivamente tremenda.
Va da sé che una donna che strombazzi le sue pessimi qualità, si comporta alla medesima stregua di un peto, manifestando rumorosamente la sua presenza e ben si può meritare,  con icastico, seppur crudo linguaggio, l’appellativo di péreta;  a margine rammento che talvolta l’epiteto péreta è addizionato di un aggettivo stellïata= scintillante, luminosa quasi a voler indicare che la donna che strombazzi le sue pessimi qualità, si comporta alla medesima stregua di un peto, manifestando rumorosamente la sua presenza e lo faccia (a maggior disdoro) in maniera cosí chiara e palese  come un astro brillante.

Per completezza dirò poi che simile donna becera e volgare, altrove, ma con medesima valenza è anche detta alternativamente lumèra o anche lume a ggiorno atteso che una donna becera e volgare abbia nel suo quotidiano costume l’accendersi iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco facilmente richiama quello simile del lume a gas (lumèra) o di quello a petrolio ( lume a ggiorno) ambedue altresí maleolenti tali quale una péreta confusa con una loffa.
Ciò che vengo dicendo è tanto vero che addirittura questo tipo di donna è stato codificato nella Smorfia napoletana che al num. 43 recita: donna Péreta for’ ô balcone per indicare appunto una donna… di scarto che faccia di tutto per mettersi in mostra; ed addirittura nella smorfia il termine péreta da nome comune è divenuto quasi nome proprio.)

Proseguo ora tentando  l’illustrazione degli epiteti che le popolane sogliono rivolgersi l’un l’altra , per offendersi talvolta pesantemente; preciso súbito che gli epiteti di cui dirò sono presenti oltre che sulle labbra di infime donnaccole, anche passim negli scritti di BasileGiugliano in Campania, 1566 – †Giugliano in Campania, 1632), Sgruttendio (Pseudonimo dell’ignoto autore di una raccolta di poesie in dialetto napoletano, De la tiorba a taccone, pubblicata a Napoli nel 1646), Cortese(Napoli 1570 circa – ivi† 1646 circa);, Trinchera(Napoli, 2 giugno 1702 – ivi † 12 febbraio 1755) ed altri.
Ciò detto, principio, augurandomi di risultare il piú chiaro possibile ,anche se non esauriente, atteso che gli epiteti – soprattutto di viva voce – possono essere molti di piú, stante la vivacità d’inventiva del popolo napoletano e soprattutto quello plebeo; abbiamo:

-capèra = ad litteram: pettinatrice a domicilio ed estensivamente: pettegola, propalatrice di notizie raccolte in giro e riportate magari corredate di falsità aggiunte ad arte alle originarie notizie conosciute durante l’itinerante lavoro; etimologicamente è voce derivato da capo (testa) + il suffisso femm. di pertinenza era (al masch.èra diventa iere (es.: ‘a salum+èra, ‘o salum+iere));

cajotela/cajotula = donnicciuola pettegola adusa a andarsene in giro a raccogliere e propalare notizie,ma pure donna plebea,  becera, sporca che emani cattivo odore e per ampliamento: donna lercia  di facili costumi; semanticamente la seconda accezione si spiega con un supposto etimo da cajorda (che è ipotizzato  dall’ebraico hajordah) = puzzola; ma piú che caiorda pare che la voce di partenza debba essere una sia pure non attestata *chiaiorda con riferimento a donna abitante la Riviera di Chiaia un tempo strada molto sporca, covo di gente malfamata; tuttavia mi pare molto difficile, morfologicamente parlando,  pervenire a cajotela/cajotula sia che si parta  da caiorda che da chiaiorda. Ecco perché penso che  sia preferibile l’ipotesi etimologica  che collega le voci cajotela/cajotula al basso latino catula= cagna. In questo caso sarebbero salve sia la morfologia (da catula con consueta doppia epentesi vocalica eufonica  (epentesi tipica delle parlate  meridionali)  i-o facilmente si giunge a caiotula) sia la semantica ( è nell’indole della cagna priva di padrone, vagabondare latrando (cfr. spettegolando) e concedendosi  ai randagi (cfr. donna di facili costumi).

cannaccara s.vo ed agg.vo f.le che letteralmente sta per provvista di troppe, eccessive cannacche(= collane vistose; dall’arabo hannaqa)= collane vistose che rendono inelegate e perciò spregevole la donna  che le indossi che oltre alla voce a margine fu apostrofata talora con il termine sié maesta ‘ncannaccata dove  sié è l’apocope metatetica del francese sei(gneuse) = signora,  femminile di seigneur= signore);  maesta = maestra  mentre ‘ncannaccata  =part. pass. f.le dell’infinito ‘ncannaccà= provvedere di collane denominale da  in→’n + cannacca;
banchèra
= ad litteram:  sguaiata, ciarliera ma pure sboccata, maleducata, rozza, zotica, grossolana venditrice al minuto che lavora servendosi di un banco/bancone tenuto all’aperto sulla pubblica via, venditrice che essendo in contatto con molte persone può – come la precedente capèra – diventar pettegola, propalatrice di notizie; etimologicamente è voce derivata da banche plurale di banco (che è dal germ. *bank ‘sedile di legno’ ) + il suffisso femm. di pertinenza era o altrove iera;
votacàntere = vuota-pitali quella donna (probabilmente lercia, sporca,o pensata tale), addetta agli infimi uffici quale quello di svuotare in mare( per solito durante la c.d. malora ‘e chiaia(vedi altrove)) i vasi di comodo in cui le famiglie depositavano i propri esiti fisiologici; etimologicamente la voce votacàntare risulta esser l’unione di una voce verbale vòta = vuota (3° pers. sing. ind. pres. dell’infinito votà= vuotare che è un denominale derivato dal lat. volg. *vocitu(m), variante di *vacitu(m), part. pass. di *vacíre ‘essere vuoto’, corradicale del lat. vacuus ‘vuoto’) + il sostantivo càntare plurale di càntaro s.vo m.le = vaso di comodo, pitale etimologicamente dal lat. càntharu(m) forgiato sul greco kantharos, da non confondersi con il termine cantàro (che è dall’arabo quintâr) voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro);
funnachèra letteralmente abitante, frequentatrice di un fondaco, il fondaco(in napoletano fúnneco) fu, dalla seconda metà dell’ ‘800, ai primi del ‘900, un locale a pianterreno o seminterrato, usato come magazzino o come abitazione poverissima;ma anche estensivamente un cortilaccio o vicolo cieco circondato di abitazioni da povera gente, ed addirittura una zona poverissima ed insalubre della città ( a Napoli ne esistettero fino ai primi del 1900, a dir poco una settantina (tra i quali il famoso Funneco Verde cantato da Salvatore Di Giacomo) ubicati quasi tutti nella città vecchia segnatamente nelle zone del Porto e Pendino e spesso detti fondaci prendevano il loro nome da quello degli artieri che vi aprivono bottega: es: funneco verde =fondaco degli ortolani, funneco ‘a ramma fondaco dei ramai) con costruzioni fatiscenti e malsane; quindi la funnachèra quale abitante o frequentatrice di un fondaco, connota una donna di bassa condizione civile , intesa becera, volgare, triviale; etimologicamente voce denominale di fúnneco che è derivato dall’arabo funduq (attraverso lo spagnolo fúndago(con assimilazione progressiva nd→nn e variazione di tipo popolare della occlusiva velare sonora  g con la piú aspra e dura occlusiva velare sorda c):altra ipotesi etimologica è che tale fondaco: ‘alloggio, magazzino’, possa derivare  dal gr. pandokêion(pan=tutto, dokomai=accolgo)ed in tal caso fondoca varrebbe oltre che magazzino anche locanda, albergo pubblico; da funnaco  + il solito suffisso femminile di pertinenza era scaturisce funnachera; il suffisso era al maschile è iere(suffisso di sostantivi derivati dal francese (-ier) o formati direttamente in italiano, la cui origine è il lat. -ariu(m); forma soprattutto nomi di professioni, mestieri, attività (panettiere, cavaliere, ‘nfermiere, raggiuniere) o di oggetti (rasiere,repustiere); (per la differenza di suffisso cfr. salum-iere, ma salum-era);
vasciajola letteralmente abitante di un basso locale a pianterreno o seminterrato, usato come magazzino o come abitazione poverissima, simile al fondaco; ) e quindi donna, di infima condizione civile , intesa becera, volgare, triviale, incline al pettegolezzo e alla chiassata; etimologicamente la voce vasciajola è un chiaro denominale di vascio (lat.: bassu(m))+ il suffisso lat. volg.: ariolus/la con un’ inattesa dissimilazione totale della r;
janara catarrosa letteralmente strega affetta da catarro e dunque sporca, lercia; di per sé la janara è la  strega, la megera,ma pure una  donna plebea brutta e malefica; etimologicamente pare essere un derivato come penso e reputo,   del nome della dea pagana Diana(m), non manca però chi pensa ad una derivazione da (r)janara forma metatetica di irana/iranara = granata coperta di peli di capra; catarrosa = agg.femm. sofferente di catarro: una vecchia catarrosa
o che rivela la presenza di catarro: tosse, voce catarrosa denominale di catarro che è dal tardo lat. catarrhu(m), che è dal gr. katárrous, deriv. di katarrêin ‘scorrere giú;
janara cecagnòla o scazzata letteralmente strega, megera,quasi cieca o cisposa; cecagnòla = guercia nell’immaginario comune l’esser guercio o come il successivo, l’esser cisposo è di persona (specie se donna) volgare, laida, sporca, falsa ed inaffidabile, tendente alla cattiveria; l’etimo di cecagnola risulta un deverbale di cecà/cecare dal lat. caecare, mentre la voce scazzata = cisposa, da scaccolare è un aggettivo da un participio passato dell’infinito scazzà = scaccolare, liberar gli occhi dalle caccole che formano il cispo (in napoletano scazzimma da un lat.volgare caccita; non si può però escludere che il verbo scazzà derivi da un basso latino ex-cacare composto di cacare)
spernocchia =conocchia/canocchia o cicala di mare: piccolo crostaceo marino con duro carapace, commestibile, con corpo allungato e zampe anteriori ripiegate, atte alla presa; per traslato donna coriacea, repulsiva, scostante; letteralmente vale l’italiano sparnocchia; la voce napoletana è un adattamento popolare giocoso di spannocchia (dal lat. volg. *panucula(m), per il class. panicula(m), dim. di panus ‘ con protesi di una s intensiva) forse per la forma che ricorda quella di una pannocchia ben accartocciata nelle sue foglie;
trafechèra letteralmente vale l’italiano traffichina e dunque donna dedita a traffici poco onesti, imbrogliona, intrigante; etimologicamente è un deverbale del verbo trafechïà attraverso il sostantivo trafeca (travaso) + il consueto suffisso femm. èra; la voce trafechïà in primis vale (con derivazione dal catalano trafegar)travasare il vino (da un tardo latino: trans + faex-faecis= feccia )e quindi estensivamente: maneggiare, esercitar traffici illeciti;
muzzecútela vale l’italiano maldicente,malevola sparlatrice, mordace detto soprattutto di donna che in una discussione pretende d’aver sempre l’ultima parola; etimologicamente è un deverbale del verbo muzzecà (morsicare, mordere anche in senso figurato) che è forse da un basso latino *muccicare, se non dal tardo lat. morsicare, deriv. di morsus, part. pass. di mordíre ‘mordere’ con tipico passaggio rs→rz→zz.
trammèra/ntrammera si tratta di un’ unica voce riportata nella seconda versione con una piccola differenza morfologica rappresentata da una n eufonica posta in posizione protetica, consonante che essendo prettamente eufonica e non derivata da aferesi di un (i)n→’n illativo, non necessita di segno diacritico() ; è voce che indica colei che tesse inganni, congiure, insidie, donna inaffidabile;va da sé che la voce a margine non à nulla a che spartire con il termine tram essendo etimologicamente un derivato della voce trama (dal lat. trama(m) ) = macchinazione, intrigo, con tipico raddoppiamento popolare della labiale m e l’aggiunta del suff. femm. èra;

palazzola, agg.vo e talora s.vo f.le e ora solo femminile atteso che  il corrispondente maschile palazzuolo è desueto e  non è usato né nello scritto, né nel parlato comune;letteralmente la voce a margine fu coniata, quale denominale della voce  palazzo,  per identificare quelle popolane, ciarliere e petulanti che vivevano ai margini del palazzo reale in cerca di benefattori tra i nobili frequentatori della corte; il maschile palazzuolo un tempo (1750 – 1850 ) fu usato nella medesima accezione del femminile; dopo l’unità (1860) cadde in disuso e venne usato solo nel significato di furbo, abile (forse tenendo presenti gli accorgimenti usati da quei popolani per strappare qualche vantaggio, utilità dai nobili cui si rivolgevano circuendoli con chiacchiere e ciarle;

pirchipétola/perchipetolaagg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile atteso che  il corrispondente maschile pirchipetlo= uomo  intrigante,pettegolo   non è attestato e  non è usato né nello scritto, né nel parlato comune;anche la voce a margine (unica voce con due grafie leggermente diverse) è voce antica  ma non   desueta;  letteralmente valse e  vale l’italiano donna ciana, becera, donnaccola pettegola e volgare, linguacciuta,  quando non donna di facili costumi con derivazione dell’addizione della voce perchia = perca: pesce acquatico di scarsissimo valore con bocca grossa e ventre ampio e floscio + petola/petula = pettegola, ciarliera; delle medesime infime qualità: bocca grossa (come che sottolineata dal pesante trucco), e ventre ampio e floscio, frutto del tipo di… lavoro comportante spesso gravidanze indesiderate è accreditata
la donna di facili costumi detta perchia spesso ciarliera e dunque pirchipétola/perchipétola.
cajòtela vale l’italiano donna di facili costumi probabilmente voce derivata da un lat. (foemina) *caveottula con riferimento al ristretto covo (cavea) in cui detta femmina prestava la sua opera mercenaria;
pernacchia da non confondere con l’omonima voce italiana con la quale si rende il napoletano pernacchio, cioè il suono volgare emesso con un forte soffio a labbra serrate, in segno di disprezzo o di scherno; (ricordo súbito che la voce pernacchio, anticamente fu vernacchio e con tale voce derivata dal tardo lat. vernaculu(m) si significò inizialmente  la vera e propria scoreggia cioè il suono volgare emesso dai visceri per espellere gas intestinali e solo successivamente con la parola vernacchio/pernacchio si intese il suono che  imitativamente a quello prodotto dai visceri veniva emesso  dalle labbra serrate in sengno di dileggio e/o disprezzo.) questa a margine è offesa che si rivolge ad una donnaccola brutta, ripugnante e dai modi volgari che tuttavia, nel tentativo di farsi notare ed accettare usa agghindarsi in maniera ridondante ed appariscente attirandosi spesso il dileggio di coloro che la guardino, e che spesso usano nomarla pernacchia ‘mpernacchiata (donnaccola agghindata) l’etimo di pernacchia è dal lat. vernacula ‘cose servili, scurrili’neutro plur (poi inteso femm.). di vernaculum deriv. di verna ‘schiavo nato in casa’
pirchipétola/perchipetola vale l’italiano donna ciana, becera, donnaccola pettegola e volgare, linguacciuta,  quando non donna di facili costumi con derivazione dell’addizione della voce perchia = perca: pesce acquatico di scarsissimo valore con bocca grossa e ventre ampio e floscio + petola/petula = pettegola, ciarliera; delle medesime infime qualità: bocca grossa (come che sottolineata dal pesante trucco), e ventre ampio e floscio, frutto del tipo di… lavoro comportante spesso gravidanze indesiderate è accreditata
la donna di facili costumi detta perchia spesso ciarliera e dunque pirchipétola/perchipétola;
chiazzèra donna plebea, ciana, volgare adusa ad urlare, vociare sguaiatamente soprattutto palam in piazza in maniera spesso scomposta, volgare, triviale, scurrile, sboccata, maleducata rozza, zotica; etimologicamente derivata dall’addizione di chiazza (=piazza dal lat. platea(m) ‘via ampia’, che è dal gr. platêia, f. sost. di platy/s ‘ampio, largo)+ il solito suff. femm. èra
fuchèra donnaccola pettegola e volgare adusa ad accendere metaforici fuochi, seminando zizzania, con derivazione dall’addizione di fuoche (plurale di fuoco che è dal lat. focu(m)) + il consueto suff. femm. di pertinenza èra
‘mmicïata donna di facili costumi, viziosa ; voce quasi del tutto desueta che però si può ancora riscontrare – con intenzioni e valenza molto offensive – nel parlato plebeo di talune cittadine dell’area vesuviana; etimologicamente derivata dal basso latino *in vitiata da un in (illativo)+ vitium con stravolgimento dell’originario significato di vitium inteso non piú come errore, ma come la disposizione abituale al male; l’acquiescenza continua agli istinti piú bassi; per il passaggio di inv a ‘mm vedi alibi invece=’mmece, invidia=’mmidia;
scigna cacata letteralmente scimmia sporca d’escrementi e per traslato: donna lercia, laida,sporca quantunque tenti di apparire avvenente (tené ‘e bbellizze d’’a scigna = avere le grazie della scimmia pensato animale grazioso in quanto imitatore dell’essere umano)scigna deriva dal lat. simia→simja, con un consueto passaggio di s+ vocale a sci: (vedi altrove semum→scemo) e mj→gn (come in ca(m)mjare→cagnà) cacata = part. passato femm. aggettivato dell’infinito cacà/cacare = defecare dal latino cacare;
aucellona ‘nzevosa uccellone unto id est: donnaccola appariscente, ma sporca, lercia; aucellona è l’accrescitivo femm. (vedi il suff. ona) del sostantivo maschile auciello derivato da un tardo lat. aucellus doppio diminutivo di avis→avicula→avicellus→avuciello→auciello con tipica dittongazione cie della sillaba ce, sillaba implicata ossia seguita da due consonanti; ‘nzevosa= unta, untuosa e quindi sporca, lercia con etimo da un basso latino in(illativo) + sebosus = ingrassato, aggettivo forgiato su sebum= grasso, in+s sfocia sempre in ‘nz e tipica è l’alternanza partenopea b/v (vedi barca/varca, bocca/vocca etc.;
zandraglia perucchiosa zandraglia = donna volgare, sporca incline alle chiassate, ai litigi ed al pettegolezzo; perucchiosa = pidocchiosa, coperta di pidocchi,la voce zandraglia (etimologicamente dal francese les entrailles,)indicò dapprima le donne povere volgari e vocianti che si litigavano, alle porte delle cucine reali o del macello situato a Napoli presso il ponte Licciardo, le interiora e le ossa delle bestie macellate,(donde l’espressione partenopea: va’ fa ll’osse ô ponte= vai a raccattar le ossa al ponte, invito perentorio e malevolo rivolto a chi ci importunasse con richieste fastidiose, affinché ci liberi della sua sgradevole presenza, spostandosi altrove!) interiora ed ossa distribuite gratuitamente; poi, in altra epoca, con la medesima voce si indicarono le donne designate a ripulire dai resti umani i campi di battaglia e/o i luoghi di esecuzioni capitali (ed in tali occasioni queste donne malvissute si contendevano l’un l’altra le vesti e qualche effetto personale dei soldati o dei condannati); l’aggettivo perucchiosa femm. metafonetico di perucchiuso vale pidocchiosa, affetta dai pidocchi, dalle zecche, ma pure avara, taccagna forgiato sul sostantivo perocchio (con derivazione da un originario lat.pedis= pidocchio attraverso un diminutivo pediculus alterato in peduculus→ peduc’lus →perocchio con la tipica alternanza osco-  mediterranea d/r) addizionato dei suffissi di appartenenza uso/osa;
zellósa aggettivo sostantivato femm. metafonetico di zelluso e vale tignosa, affetta da alopecia(in napoletano: zella) la voce a margine etimologicamente è formata dall’addizione di zella (da un lat. regionale (p)silla(m) dal greco psilòs =nudo, calvo; il raddoppiamento della liquida è d’origine popolare, (come alibi mellone da melon – ‘ntallià da in-taliare etc. ) con i soliti suffissi di appartenenza uso/osa;

fetósa aggettivo sostantivato femm. metafonetico di fetuso e vale fetida, poco raccomandabile, pericolosa, sporca, lercia, che puzza; la voce a marigine etimologicamente è formata dall’addizione di fieto (che è uno dei pochi lemmi derivati non da un accusativo latino, ma da un nom.: foetor= puzzo) con i soliti suffissi di appartenenza uso/osa;

E mi fermo qui rimandando il completamento dell’elencazione. Grazie dell’attenzione.

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