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‘o ciuccio ‘e Fechella, la storia del simbolo azzurro

Pare ‘o ciuccio ‘e Fechella: trentatré chiaje e pure ‘a cora fràceta!
Ad litteram: Sembra l’asino di Fichella: trentatré piaghe ed anche la coda marcia. Divertente, sarcastica espressione (nata a Napoli ,e ne dirò, in àmbito sportivo intorno al 1929),   usata in riferimento a chi realmente sia o in riferimento  a chi faccia le viste di essere di salute estremamente malferma, continuamente in preda ad acciacchi, malesseri piccoli o grandi,  cosa che gli impedisce di attendere adeguatamente  con costanza e congruenza ai proprî uffici con conseguente fastidio di parenti o colleghi che devono sobbarcarsi anche il suo lavoro. Questo( ma non si sa quanto veridicamente)  malmesso, malaticcio, cagionevole  individuo  viene paragonato ad un famoso asino, di proprietà d’un tal Fechella (di cui dirò), usato originariamente  per piccoli trasporti di derrate alimentari e/o oggettistica, asino che gravato di basto ne aveva la schiena piagata in piú punti, asino di cui si diceva che perfino la coda fosse marcita; a differenza però dell’individuo cui è paragonato  il solerte asino, a malgrado delle sue afflizioni continuava ad essere adibito costantemente al suo lavoro e non se ne lagnava. Tuttavia il paragone tra il piagato asino e chi sia piú o meno autenticamente in modo continuo oppresso, abbattuto, prostrato, avvilito, tormentato, perché afflitto da malanni, acciacchi, malattie ricorrenti, m’appare ugualmente icasticamente calzante! Ciò precisato diamo dapprima un rapido sguardo alle voci dell’espressione, riservandoci di dire in coda del Fechella e della storia del suo asino.
ciuccio s.vo m.le = asino, ciuco,  quadrupede domestico da tiro, da sella e da soma, con testa grande, orecchie lunghe e diritte, mantello grigio ed un fiocco di peli all’estremità della coda, ritenuto paziente e cocciuto nonché (ma non se ne intende il perché) ignorante;  varie sono le proposte circa l’origine della parola :chi dal lat. cicur=  mansuefatto domestico; chi dal lat. *cillus  da collegare al greco kíllos= asino;  chi dallo spagnolo chico= piccolo atteso che l’asino morfologicamente è piú piccolo del cavallo; son però tutte ipotesi  che non mi convincono molto; e  segnatamente non mi convince (in quanto morfologicamente troppo arzigogolata)  quella che si richiama all’iberico chico= piccolo, a  malgrado che  sia  ipotesi che  appaia semanticamente perseguibile.   Non mi convincono altresí, in quanto m’appaiono forzate,   l’idee che il napoletano ciuccio sia da collegare o all’italiano ciuco o all’italiano ciocco. Vediamo: il ciuco della lingua italiana  è sí l’asino ma nessuno spiega la eventuale  strada morfologica seguita per giungere a ciuccio partendo da ciuco;  d’altro canto non amo  qui come altrove quelle etimologie spiegate sbrigativamente con il dire: voce onomatopeica oppure origine espressiva; ed in effetti   la voce italiana ciuco  etimologicamente non viene spiegata se non con un inconferente origine espressiva; allo stato delle cose mi pare piú perseguibile l’idea che sia l’italiano ciuco a derivare dal napoletano ciuc(ci)o anziché il contrario.  Men che meno poi  mi solletica l’idea che ciuccio possa derivare dall’italiano     ciocco= grosso pezzo di legno e figuratamente uomo stupido, insensibile ed estensivamente ignorante e dunque asino. No, no la strada semantica seguita è bizantina ed arzigogolata: la escludo!
In conclusione mi pare piú perseguibile l’ipotesi che la voce  ciuccio vada collegata etimologicamente alla radice sciach dell’arabo sciacharà= ragliare che è il verso proprio dell’asino, secondo il seguente percorso morfologico: (s)ciach→ciuch→ciuccio; rammento che in siciliano l’asino è detto sceccu con evidente derivazione dalla medesima  radice sciach dell’arabo sciacharà= ragliare;
trentatré agg. num. card. invar.
1 numero naturale corrispondente a trenta unità più tre; nella numerazione araba è rappresentato da 33, in quella romana da XXXIII
2 posposto al sostantivo, con valore di ordinale;
3 come s.vo m.le la parola che il paziente è invitato a pronunciare durante l’auscultazione del torace, perché genera un fremito dal quale il medico può trarre indicazioni circa la presenza di affezioni broncopolmonari: dica trentatré!. dal lat. pop. volg. tr(i)enta+tre(s) per il cl. trigintatre(s);
chiaje s.vo f.le pl. di chiaja = piaga, 1 lesione della pelle o di una mucosa, piú o meno profonda, che presenta difficoltà a rimarginarsi:tené ‘o cuorpo cupierto ‘e chiaje (avere il corpo coperto di piaghe) | essere tutto ‘na chiaja(essere tutto una piaga), averne in tutto il corpo.
2 (fig.) grave male, flagello: ‘e chiaje d’ Eggitto( le piaghe d’Egitto), secondo il racconto biblico, le dieci calamità con cui Dio puní gli egizi che tenevano gli ebrei in schiavitú
3 (fig.) dolore cocente: tené ‘na chiaja dint’ ô core(avere una piaga nel cuore); arapí ‘na vecchia chiaja(riaprire una vecchia piaga), rinnovare un dolore non del tutto sopito ‘ mettere ‘o dito ‘ncopp’â chiaja (mettere il dito sulla, nella piaga), toccare un argomento doloroso, delicato, imbarazzante; anche, rilevare il punto critico di una situazione
4 (fig. scherz.) persona molto noiosa, lamentosa: sî ‘na chiaja(sei una piaga, fai la piaga).
Voce dal lat. plaga(m) con tipico mutamento di pl in chi (cfr. platea→chiazza – plumbeum→chiummo etc.)
córa s.vo f.le = coda, estremità posteriore del corpo degli animali vertebrati, formata, nei mammiferi e nei rettili, da un prolungamento della colonna vertebrale. Voce dal lat. volg. coda(m), per il class. cauda(m) con tipica rotacizzazione osco-mediterranea d→r.
fràceta agg.vo f.le (al m.le fràceto) fradicia/o,marcia/o, marcita/o dal lat.fracida(m) f.le di   fracidu(m) con sostituzione espressiva della occlusiva dentale sonora (d) con l’occlusiva dentale sorda (t).
Fechélla letteralmente piccola fica in quanto la voce a margine è il diminutivo (cfr. il suff. élla) di fica (= albero e frutto del fico e per traslato vulva; con etimo dal lat. *fica(m) femminilizzazione di ficu(m) marcato sul greco súkon che à anche il medesimo  significato osceno; piú spesso in luogo del diminutivo f.le a margine se ne usa uno m.le: ficuciello con suff. m.le iello e suono di transizione – c – (cfr. balcone→balcun-c-iello); nel caso che ci occupa la voce a margine fu un soprannome cioè un appellativo familiare, scherzoso o ingiurioso, di una persona, diverso dal cognome e dal nome proprio, che prende generalmente spunto da qualche caratteristica individuale, fu un soprannome assegnato ad un piccolo, rinsecchito, vizzo omettino (un tale don Mimí(Domenico) Ascione, originario di Torre del Greco, ma non meglio identificato) che negli anni tra il 1928 ed il 1930,  servendosi di un vecchio e malmesso somaro provvisto di basto e/o piccolo barroccio, forniva servizio di modesto trasporto di vettovaglie e/o masserizie  nella zona del cosiddetto Rione Luzzatti (rione di case popolari edificato nella zona orientale della città, voluto da  Luzzatti Luigi uomo politico ed economista italiano, presidente del Consiglio nel periodo 1910-1911 (Venezia 1841 -† Roma 1927). Orbene nella zona suddetta  don Mimí Ascione(Fechella) ed il suo asino erano notissimi cosí che quando  nella zona fu edificato per le partite di calcio della squadra del Napoli (la Società Sportiva Calcio Napoli S.p.A., abbreviata in SSC Napoli e nota come Napoli, fu ed ancóra è la principale società calcistica della città di Napoli, militante all’attualità in Serie A; fu fondata il 1º agosto 1926 su iniziativa dell’industriale napoletano, ma di ascendenze semitiche,  Giorgio Ascarelli(Napoli, 18 maggio 1894 – † ivi 12 marzo 1930) con il nome di Associazione Calcio Napoli, ed  assunse poi l’attuale denominazione nel 1964.
Il simbolo del club attualmente  è l’Asinello,ma in origine fu quello del Cavallo rampante sfrenato il medesimo del municipio cittadino,  mentre il colore sociale è l’azzurro-cielo e non il blu-savoia di talune improvvide, iettatorie divise talvolta indossate. Gioca attualmente le partite interne allo stadio San Paolo, inaugurato nel 1959.)Ripeto: cosí che quando  nella zona fu edificato per le partite di calcio della squadra del Napoli uno stadio  progettato da Amedeo D’Albora su commissione del primo presidente del Napoli l’industriale Giorgio Ascarelli ed edificato nei pressi della zona nota come “Rione Luzzatti”,  sulle tribune dell’impianto  costruite in legno, inizialmente denominato “Stadio Vesuvio”),sulle tribune,dicevo,   tra i  20.000 spettatori ce n’erano numerosissimi  provenienti appunto dalla predetta zona; la squadra di calcio del Napoli alle sue prime esibizioni  non ebbe eccessiva fortuna ed i risultati ottenuti  furono tutt’altro che esaltanti, cosí avvenne che  all’ennesima sconfitta rimediata dalla squadra napoletana tra le mura amiche si levò la voce anonima d’uno spettatore, peraltro tifoso azzurro da quel momento diventato anonimamente famoso, che esclamò:”Ato ca cavallo sfrenato, chisto me pare ‘o ciuccio ‘e Fechella!” (Altro che cavallo sfrenato, questo mi sembra l’asino di Fichella!); da quel momento l’emblema del Napoli calcio non fu piú il cavallo rampante e sfrenato, ma l’umile paziente laborioso asinello, segnato dalle piaghe procuategli dal basto.
E qui penso di poter chiudere queste lunghissime pagine, augurandomi d’avere accontentato l’amico A.B. ed interessato qualcuno dei miei ventiquattro lettori.
Satis est.
Raffaele Bracale

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