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Lazio-Napoli, quando nacque “Oj vita mia”

Lazio-Napoli, un ricordo su tutti. Quella domenica del 7 dicembre 1975. Trentamila tifosi napoletani all’Olimpico di Roma. Erano le grandi trasmigrazioni azzurre trascinate dal Napoli generoso e furente di Vinicio. Una squadra che l’anno prima s’era arresa solo a Josè Altafini, core ‘ngrato.  Battuta da un gol del “conileone” nella sfida-scudetto a Torino contro la Juventus. Quel maledetto 1-2 arretrò il Napoli da due a quattro punti (la vittoria valeva due punti) dalla squadra juventina in testa, allenata da Carletto Parola, il centromediano della arcifamosa rovesciata volante. Zoff neutralizzò una palla-gol di Juliano, che aveva già segnato la rete del pari prima che la Juve andasse in vantaggio a due minuti dalla fine con Josè. Dal possibile 2-1 per noi passammo all’1-2. Il Napoli aveva ceduto Altafini e Zoff alla Juve tre anni prima. La pagammo cara. Ci sfuggì il primo scudetto della storia azzurra in anticipo di dodici anni sul campionato vinto con Maradona.
Dunque, 7 dicembre 1975. Il Napoli di Vinicio continuava a correre. Savoldi (pagato i due miliardi che scandalizzarono l’Italia sempre con un occhio di spietato riguardo su Napoli) aveva preso il posto di Clerici, ma Vinicio continuava a spremere una formazione di fedelissimi.
Carmignani in porta (mani di fata era venuto a conguaglio della cessione di Zoff alla Juve). Bruscolotti e La Palma terzini, la roccia e il bello di Brindisi.
In mediana Burgnich, Landini, due ex interisti, e birillo Orlandini. Tarcisio Burgnich, invitato da Vinicio a “fare gioco” senza rimanersene “impalato” in difesa come nell’Inter, ci confidava che non si era mai divertito al calcio come in quegli anni nel Napoli.
Attacco con Peppiniello Massa, autentico tric-trac a destra, e Braglia-Giorgio-Guitar a sinistra. Mezzali l’elegante Ciccio Esposito e il tuttofare Boccolini, un marchigiano col contachilometri esaurito a ogni fine gara. Centravanti, Beppe-gol.
Ottava giornata di campionato, Lazio-Napoli. In testa c’era la Juve e il Napoli, secondo, era a un solo punto dai bianconeri. Si rinnovava, al vertice, il duello dell’anno precedente. La Lazio stava giù in classifica. Era la Lazio del soave Tommaso Maestrelli, campione d’Italia due campionati prima. Maestrelli e Vinicio furono i maestri di un nuovo gioco che si smarcava dal vecchio andazzo del “catenaccio”. Una zona mista, fu questa la novità.
Della Lazio campione d’Italia giocavano ancora in sette: il portiere Pulici; Martini col brevetto di aviatore e Pinotto Wilson, il napoletano nato a Darlington, in Inghilterra; Garlaschelli, Re Cecconi con i capelli biondi a caschetto, D’Amico un fuoriclasse incompiuto per leggerezza di carattere, pigrizia e mattane, e Giorgio Chinaglia, “Long John” di 1,86, toscano che era cresciuto in Galles col padre emigrante, un satanasso del gol, un bisonte. Wilson e Chinaglia li conoscevamo bene: avevano giocato nell’Internapoli con Massa e con Vinicio allenatore.
La partita si mise subito bene perché andò immediatamente in gol Gigi Boccolini, al primo anno in serie A, scudiero di Vinicio che lo chiamò dal Brindisi (così come dal Brindisi, allenato dal “leone”, aveva portato La Palma). Immaginate i trentamila napoletani all’Olimpico. Poiché le radioline portavano buone notizie (la Juve si avviava a perdere il derby torinese), lo stadio romano divenne più napoletano del “San Paolo”. Quando la Juve andò sotto per i gol di Graziani e Pulici, e il Napoli, difendendo l’1-0 contro la Lazio, schizzò al primo posto in classifica, allora l’Olimpico fu avvolto e conquistato dalla più imprevedibile, commovente e indimenticabile magìa mai successa in uno stadio.
Per un incantesimo di cuore, un’ispirazione spontanea, una gioia non diversamente esprimibile, e un’intesa e un accordo misteriosi, i trentamila napoletani cominciarono a cantare “Oj vita, oj vita mia”. Non l’avevano programmato, non s’erano dati la voce, e non si è mai saputo chi cominciò a cantare, e fu una delle improvvise, geniali e immancabili trovate di un popolo e di una tifoseria inimitabili.
Quel giorno, a Roma, “Oj vita, oj vita mia” divenne l’inno dei tifosi azzurri, appassionato e struggente, che accompagnò il Napoli nei giorni felici e nei sette anni di Maradona. Quella fantastica iniziativa ebbe il suo suggello in un titolo a nove colonne su “Lo Sport del Mezzogiorno”, il settimanale diretto da Riccardo Cassero, che lo “sparò” in prima pagina. Cassero, compagno di lavoro indimenticabile per lealtà, serenità e capacità professionale, fece di più. Catturò al volo, nei corridoi del giornale, il geniale Max Vajro, uomo di cultura, scrittore brillante e valente pianista, e gli impose di tracciargli su un foglio di carta il pentagramma con le prime note della canzone di Califano e Cannio. Vajro lo fece velocemente consentendo a Cassero di arricchire il titolo con l’efficace disegno del pentagramma. Non abbiamo mai saputo se le note vergate da Vajro fossero esatte o il grande Max ci aveva accontentati prendendoci in giro e inventandosi di sana pianta le note. Era un delizioso burlone.
Boccolini riuscì ad avere il pallone di quella vittoria a Roma. Raccontò che, dopo la partita, aveva espresso il desiderio di averlo. I giornali riportarono il suo desiderio. Il pallone, dopo il gol, era stato calciato in tribuna da Boccolini in segno di giubilo ed era stato “catturato” da un gruppo di tifosi napoletani. Lo avevano preso, senza rimandarlo in campo, i tifosi del “Club Leo Clan” di Sant’Antimo. Il presidente Mimmo Chiariello invitò Boccolini a visitare il club e gli regalò il pallone in cambio di un “qualsiasi” pallone autografato da Boccolini.
A quei tempi, col calcio, ci si emozionava così.

MIMMO CARRATELLI

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