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La storia di Juliano, napoletano atipico, bandiera di una città che cambia

La storia di Juliano, napoletano atipico, bandiera di una città che cambia

Ieri si è tenuto il quarto incontro del seminario di didattica integrativa “Napoli. La città, la squadra e i suoi eroi” presso il Dipartimento di Scienze Sociali della Federico II. Ospiti dell’incontro sono stati lo storico giornalista Carlo Franco, il giornalista radiofonico Dario Sarnataro, e Massimiliano Bencardino e Domenico Maddaloni, docenti e studiosi presso l’Università degli Studi di Salerno. Tema del dibattito è stato Antonio Juliano, Totonno per gli amici, una delle bandiere del Napoli. Definito da Ghirelli un “napoletano atipico”, Juliano nasce e cresce nel quartiere popolare di San Giovanni a Teduccio dove vive con la sua famiglia fino all’età di sedici anni, e prima di diventare uno dei grandi centrocampisti dell’epoca, la strada e i sampietrini sono stati il suo campo di gioco. Come ricorda Carlo Franco, fu il padre dello stesso giornalista, Mario, all’epoca dirigente del settore giovanile del Napoli, a notare il talento dell’ancora dodicenne Juliano, su segnalazione del talent scout Giovanni Lambiase, e insieme riuscirono a portare Juliano al Napoli. La sua prima apparizione in prima squadra coincise con il primo trofeo conquistato dal Napoli durante la sua lunga storia, la Coppa Italia del ’62. L’esordio in serie A avviene invece in una giornata non certo memorabile per la squadra partenopea: la squadra azzurra si arrende ad un sonoro 5 a 1 contro la “grande” Inter di Herrera.

La svolta nella carriera di Juliano avviene nella stagione ‘64/’65, con Pesaola allenatore che vede il centrocampista presenza stabile tra gli undici titolari. Quella fu un’annata positiva per la squadra azzurra che riuscì a concludere il campionato posizionandosi al secondo posto. E sotto la spinta di questo risultato, l’allora presidente Roberto Fiore capì che era arrivato il momento di costruire un grande Napoli, un Napoli da sogno, un Napoli degno dell’immenso amore e passione dei suoi tifosi. Arrivarono così Sivori, poi Altafini e di fronte alla presenza di due campioni indiscussi Juliano non si lasciò intimorire ma, anzi, mise il suo talento al servizio dei suoi nuovi compagni con l’umiltà e lo spirito di sacrificio che da sempre lo avevano contraddistinto. Perché, come sottolineato da tutti i relatori, l’atipicità di Juliano risiedeva proprio in questo suo essere un giocatore e una persona concreta, laboriosa, dedita al sacrificio, dalla schiena dritta, dotato di una integrità rara, non amante delle lusinghe né dei compromessi. Caratteristiche che gli sono valse, per l’appunto, l’appellativo di “napoletano atipico” in quanto non corrispondente allo stereotipo del napoletano chiassoso, rumoroso, teatrale.

Possedeva una innata dote di condottiero che lo portò ad essere capitano a soli 23 anni, era esempio di passione e sacrificio: Juliano sentiva il dovere di rappresentare la sua città, Napoli, nel modo migliore ma forse anche più difficile, dal momento che la sua immagine va a posizionarsi nel cono d’ombra dello stereotipo. E in ciò è innegabile rintracciare l’influenza del contesto culturale e familiare in cui è cresciuto: un quartiere periferico e una famiglia dove onestà, lavoro e sacrificio erano valori irrinunciabili. Un passato che non ha mai dimenticato, mai tradito e lo ha dimostrato anche quando impose alla società di dividere i benefici economici con quella che definiva la “bassa forza”, magazzinieri e altri collaboratori, persone che Juliano voleva rendere visibili e a cui intendeva dare la giusta dignità e il giusto merito.

Questa sua integrità e senso del dovere sono stati talvolta visti come un limite: seppur convocato in Nazionale in occasione dei Mondiali e degli Europei, Juliano non ha mai trovato il giusto spazio per esprimersi. Come tanti atleti del Sud, ha ricordato Sarnataro, pagava la sua provenienza geografica, tanto da essere messo in secondo piano rispetto ad altri giocatori provenienti da club delle città del Nord, ma anche quando gli fu proposto, più volte, di giocare in altri club Juliano confermò di non voler lasciare il Napoli: non voleva tradire Napoli e i napoletani, non voleva tradire se stesso e i suoi valori. Juliano è stata una bandiera del Napoli perché ha voluto esserlo e ha meritato di esserlo. Forse questo suo modo di essere è stato un limite, se così si può definire, anche nel suo rapporto con i tifosi: era ammirato e rispettato, ma non proprio amato, almeno non di quell’amore viscerale che spesso il tifo napoletano riserva a personaggi più estrosi e “divertenti”.

Sia Maddaloni sia Bencardino, nei loro interventi a conclusione dell’incontro, si sono soffermati su un possibile parallelismo tra la storia di Juliano e la storia di Napoli di quegli anni: gli anni ‘60/’70 sono anni in cui la città vive una rinascita culturale, economica ma anche sportiva: si inaugura il San Paolo, vengono organizzate le Olimpiadi di vela e i Giochi del Mediterraneo. La città intera subisce una grande trasformazione: viene inaugurato il Politecnico, la sede Rai, il Cnr, l’Edenlandia e la concentrazione di servizi destinati non solo alla città ma all’intera regione. Attraverso l’istituzione della Cassa del Mezzogiorno vengono promossi una serie di progetti che portano Napoli, come il resto del Sud, a raggiungere il punto di minima distanza rispetto al ricco Nord. È anche il periodo della scolarizzazione di massa, della diffusione della televisione nelle case private, dello sviluppo industriale guidato dall’industria pubblica: tutti fattori che alimentano un sentimento che vede il progresso e il benessere come dei traguardi raggiungibili, anche da quelle classi sociali che sino a quel momento non avevano osato aspirare a tanto.

Sono gli anni in cui anche il figlio di un operaio di periferia ha la possibilità di nutrirsi, di allenarsi e arrivare a giocare in un grande club. Ma questo slancio si arresta bruscamente, in quanto aveva fondamenta fragili: il settore industriale privato non sostiene l’iniziativa pubblica preferendo il campo delle costruzioni a quello dell’industria produttiva e commerciale e la stessa classe politica del tempo preferì basare il consenso elettorale e il potere politico su un sistema clientelare che legava politica e mondo degli affari, tralasciando così un reale progetto di sviluppo per la città. Sono gli anni di una transizione incompiuta che vede via via Napoli cadere verso il declino fino agli anni del colera.

Così come Juliano avrebbe potuto scegliere di lasciare il Napoli e andare a giocare con Rivera, dando una vera svolta alla sua carriera ma la sua intransigenza lo portò a non tradire Napoli, Napoli appare in perenne bilico tra il bene e il male, tra ciò che è e ciò che potrebbe e meriterebbe di essere. Ma forse è proprio in questo bilico, in questa perenne contraddizione, che risiede il suo equilibrio.

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