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Ora l’Italia si indigna ma Lotito ha detto cose vere e ragionevoli

Ora l’Italia si indigna ma Lotito ha detto cose vere e ragionevoli

Claudio Lotito non è certamente il personaggio più simpatico della Serie A, è discutibile nei modi e in più di una circostanza pubblica ha fatto sfoggio di una sicurezza al limite della tracotanza. In questa vicenda della telefonata registrata (più che censurabile il modo d’agire del sig. Iodice), Lotito ha però sbagliato, perché nel sistema calcio lui non è solo il presidente di una società affiliata (la Lazio) e comproprietario di un’altra (la Salernitana), è anche vice-presidente della Figc con delega alle riforme. E dai contenuti della telefonata si desume che sia in questa veste di “riformatore” che parla con lo Iodice, dimenticando però di rappresentare in quei frangenti una figura istituzionale e lasciandosi andare ad esternazioni più adatte a un bar sport che a un ambiente federale.

Fatta questa doverosa premessa, è però giusto andare oltre e sottolineare come entrando nel merito della telefonata ci sia ben poco di cui scandalizzarsi a cominciare da quel “Beretta conta zero!”. Ebbene, solo chi vivesse sulla luna potrebbe pensare qualcosa di diverso, considerato che dall’ultima riforma portata avanti dopo il 2006 tutti i poteri sono stati trasferiti all’Assemblea di Lega, esautorando di fatto sia il Consiglio che il Presidente. A Beretta resta dunque un ruolo di garanzia o se vogliamo di rappresentanza, una situazione che certo non gli nuoce visto che l’incarico calcistico è solo il suo secondo lavoro in quanto, come è noto, Beretta è un manager di Unicredit. Considerato che la Lega Serie A non è un ente terzo che agisce in autonomia per il bene del campionato (come invece sono l’Eurolega o l’NBA nel basket o restando al calcio la Premier League e la Bundesliga), ma semplicemente un’assemblea di condominio è chiaro che un Presidente operativo neanche servirebbe.

La seconda affermazione che ha fatto discutere è quella relativa alle eventuali promozioni di Carpi, Latina, Frosinone, o di squadre equivalenti senza uno straccio di tradizione e/o appeal commerciale e ovviamente con bacini di tifosi molto ristretti. Detto che è giusto dar merito a chi sul campo conquista una promozione, la telefonata di Lotito verteva chiaramente sul valore dei diritti tv della Serie A. Recentemente è stato chiuso un contratto da oltre un miliardo l’anno con Infront, ma Sky principale contributore della Serie A ha manifestato l’auspicio che si torni a 18 squadre nella speranza di ridurre il numero di partite di scarso interesse sportivo e quindi televisivo.

Nella scorsa stagione di Serie A ben 7 squadre su 20 hanno avuto una media spettatori a partita inferiore a 15.000, e se parliamo di Tv non va meglio. Prendendo una giornata a caso si scopre che almeno 2 partite su 10 totalizzano meno di 100 mila telespettatori e uno share corrispondente dello zero virgola. Per una televisione a pagamento numeri di questo tipo sono un investimento a perdere. Se aumentassero ancora le squadre di piccole città o che più in generale hanno uno scarso seguito, Lotito pensa (e non è un’idea folle) che le Tv finirebbero con l’offrire molto meno generando guai grossi a tutto il sistema calcio italiano.

Ma quel che Lotito accenna nella telefonata e che è già stato detto in varie circostanze pubblicamente anche da Tavecchio, non è certo che si debba impedire materialmente al Carpi di andare in A, ma che sia necessaria una riforma dei campionati, scendendo a 18 squadre in A, a 20 in B, e riducendo a 2 gironi da 20 la Serie C. Attualmente l’Italia ha un numero troppo elevato di squadre professionistiche, un numero che i fatti (stipendi arretrati, fallimenti et alii) dimostra essere insostenibile. Con una Serie A con 18 squadre e due sole retrocessioni (più una terza con spareggio), sarebbe possibile avere una migliore ripartizione degli introiti (commerciali e televisivi), una maggiore stabilità delle squadre (incentivando la possibilità di programmare a medio termine) e più spazi nel calendario per una miglior valorizzazione della Coppa Italia e della Nazionale.

Alla luce anche del caso Parma di questi giorni c’è da fare un’ulteriore riflessione, nel corso degli anni il calcio italiano ha maturato la convinzione che il merito sportivo fosse preminente rispetto a qualunque altro requisito, finendo con l’ignorare che la partecipazione a un campionato dalla Serie D alla Serie A è vincolata al rispetto anche di criteri di ordine economico e infrastrutturale. Ignorando o allentando la presa sul rispetto di questi ultimi criteri si è arrivati alla situazione attuale con la fatiscenza degli impianti e la criticità di molti bilanci economici.

Prendendo ad esempio la Serie B, oltre alle fidejussioni e al pagamento regolare degli stipendi, per l’iscrizione al campionato è necessaria la disponibilità di un impianto da almeno 10.000 posti (salvo deroghe), ebbene sono ben 10 su 22 le squadre ad avere stadi di capienza inferiore al minimo. Tra le tante non possiamo non notare proprio il Carpi (stadio Cabassi 4.164 posti) o l’Entella (stadio Comunale 4.154 posti), ma essendo due club neopromossi la deroga è anche ammissibile in vista di lavori di ampliamento che però non sono in corso né per l’una né per l’altra. Ma la deroga è stata concessa a numerose altre società che però sono in B da diverse stagioni e qui già è meno comprensibile visto che si tratta di deroghe reiterate. Qualora una di queste squadre venisse promossa con merito in Serie A dove la capienza minima richiesta è 16.000 posti, cosa accadrebbe? Una deroga è possibile, ma non per stadi da 7-8.000 posti. E allora queste squadre dovrebbero spostarsi di 40-50 o più chilometri per disputare le proprie gare casalinghe. Ma a quel punto, quale sarebbe il senso di disputare un campionato sempre in trasferta?

Ecco dunque forse si capisce quale sia davvero il nocciolo della questione, la Serie A è ovviamente il sogno di ogni squadra che giochi a calcio nella nostra penisola, dalla Terza Categoria in su, ma è necessario dare una regolata al sistema, alla formula dei campionati, alle regole di ammissione perché ormai è una vera e propria industria, non più solo uno sport e come tale deve essere organizzata per offrire sempre più uno spettacolo migliore agli appassionati che seguono e spendono soldi per le proprie squadre.

La Premier League intanto ha appena firmato un super contratto Tv da quasi 7 miliardi di euro per 3 anni (2016-2019), soldi che verranno certamente suddivisi tra i club, ma non solo, perché avranno una ricaduta sul territorio con la realizzazione di strutture sportive pubbliche, campi da gioco e programmi per lo sport di base. Sono arrivati a questo risultato lavorando insieme, facendo sistema e affidando alla Premier la difesa dell’interesse collettivo.

Naturalmente questi sono i giorni dello sdegno, di chi grida più forte allo scandalo, delle dimissioni richieste a gran voce (ma che non arriveranno), e si evita invece di mettere sul tavolo i veri problemi del sistema calcio, dalle storture dei settori giovanili (procuratori che firmano già ragazzi di 12-13 anni) fino alle problematiche economiche e di impianti del calcio professionistico. E va bene così, in fondo è più importante lo sproloquio telefonico di Lotito.
Andrea Iovene

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