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La napoletanità non appartiene solo ai napoletani

La napoletanità è uno stato dell’anima. Non appartiene soltanto a chi vive quotidianamente la città, può vivere in chiunque. De Sica, Modugno, Mastroianni (in alcuni capolavori cinematografici) sono stati molto più napoletani di tanti che hanno acquisito questa condizione per diritto di nascita.
È un modo di intendere la vita, di ricordare, di amare. È un’attitudine allo stare al mondo in un modo che è diverso da altri. È dare poca importanza a cose che da altre parti sarebbero vitali e tantissima rilevanza a cose invece superflue per alcuni. La napoletanità non è un pregio e non è un difetto. E, soprattutto, come accade ad alcuni concetti immateriali, è un opinione (e qui la cosa si complica). Tanto che altri potrebbero contestare tutto quanto asserito precedentemente. Di una cosa però siamo certi: vive, comunque la si pensi, in una lingua ed ha una storia ben precisa.
Perché tutto questo “pippotto” vi chiederete.. Qualche tempo fa, in periodo di incessante profluvio declaratorio delaurentiisiano, scrissi un articolo volto a far comprendere che disapprovare certe dichiarazioni del presidente non significava essergli irriconoscenti (http://ilnapolista.it/?p=28025).
Nell’ultima parte precisavo che poco mi piaceva anche quella sua millantata napoletanità. Molti si risentirono (ad esempio la splendida Lisa, brasileira-partenopea, che leggo sempre con piacere). Si risentirono perché i tifosi del Napoli non napoletani o residenti fuori città si sentirono chiamati in causa. Ma io non mi riferivo a loro.
Continuo a provare fastidio quando De Laurentiis napoletaneggia. Non per quel suo accento romanesco, né per il fatto che vive e lavora a Roma. Non mi piace perché ritengo che la “mia” napoletanità non gli appartiene, non la sente davvero. Sembra invece affetto da “napoletanite”, quella misteriosa malattia di Petra Montecorvino (Lucia Canaria) in “F.F.S.S. Che mi hai portato a fare sopra Posillipo se non mi vuoi più bene?” – mitico film di Renzo Arbore. È preso soltanto da stereotipie e modi di dire. Ostenta uno stato dell’essere che non è suo, finto, non vero. Come quei politici che erano vecchi da giovani e che adesso ritrovi su facebook o su twitter recitando un ruolo che non gli calza nemmeno lontanamente.
Ora, premesso che per me può venire pure un presidente eschimese purché renda sempre più grande il mio Napoli, penso che Naldi fosse molto più napoletano di De Laurentiis. E il difetto di Aurelio non sta nel non possedere nell’anima questo astratto concetto di “napoletanità”, ma nel mostrarsi come non sente, come non è. Ma pure questo è opinabile. Del resto: così è.. se “mi” pare…
Valentino Di Giacomo

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