De Laurentiis e Conte, la Napoli antipatica che sferra calci, si fa rispettare e vince
Così lontana dalla città che si è piegata al luogo comune, asservita al turismo da bed and breakfast che mostra come bere la limonata a cosce aperte

Db Riyadh 22/12/2025 - finale Supercoppa Italiana / Napoli-Bologna / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Antonio Conte-Aurelio De Laurentiis
De Laurentiis e Conte, la Napoli antipatica che vince, sferra calci e si fa rispettare
Limonata a cosce aperte. ‘O paese d’o sole. La città dell’allegria e del buonumore. Questo cercano i turisti della perenne Pasquetta che arrivano a Napoli inseguendo la messinscena che comincia a presentare il conto alla città: stravolgimento del centro storico, strade, piazze, quartieri trasformati in set cinematografici a uso consumo del business dei visitatori. Il napoletano trasformato in quel che l’ospite desidera osservare e fotografare (“molto pittoresco”). Bisogna far credere che davvero le persone a Napoli vivono così, H24, sette giorni su sette. Una macchietta su vasta scala. È la Napoli da cartolina che peraltro sta cominciando a sbiadirsi. Non è che puoi fingere sempre e alla lunga se ne accorgeranno persino i vacanzieri mordi e fuggi.
Quanto è diversa la Napoli da vetrina dal Napoli calcistico che invece è quasi sempre sé stesso. Raramente fa delle concessioni alla retorica della napoletaneria. Qualcosa sì, ma tutto sommato poca roba. Nessun sorriso di circostanza. Anzi. Come spesso accade a chi vince, il Napoli del pallone è orgogliosamente e ostentatamente antipatico. Anche perché dove sta scritto che il napoletano dovrebbe essere simpatico (ah se fosse vivo Eduardo…). Il Napoli calcistico, questo Napoli, è figlio di Aurelio De Laurentiis che della sua antipatia ha fatto un biglietto da visita. Una bandiera. Tira calci, manda a quel paese, replica a brutto muso e non riserva mai risposte compiacenti. Va molto spesso al sodo. Riduce il calcio all’essenziale. E tra un vaffanculo e l’altro, tra un ritratto derisorio e l’altro, tra una protesta della tifoseria e l’altra (poi, si sono ritirati in buon ordine, sfiniti dagli eventi) in oltre vent’anni ha portato il Napoli lassù. È spigoloso. Non sai mai cosa aspettarti da lui. Come quando ha fatto tremare Fabio Caressa, sul palco del Gran Galà della Serie A, perché ha esplicitato la grande paura dei club italiani e cioè che dalla sera alla mattina Dazn saluti tutti e lasci il pallone tricolore in braghe di tela.
Aurelio De Laurentiis ha trovato il partner ideale. Uno, se possibile, meno simpatico di lui. Perché Antonio Conte in privato sarà anche godibilissimo (così dicono coloro i quali lo hanno frequentato) ma quando è in servizio, è un cactus semovente. Può far male in qualsiasi momento. Anche Conte è orgogliosamente antipatico. È perennemente assillato dall’esigenza di migliorare e di migliorarsi. Non si ferma mai. E sferra calci appena affiora qualcosa che non gli garba. Alza la voce. Graffia. Reclama a gran voce i suoi meriti («Hojlund e McTominay nello United non giocavano, datevi una risposta», come a dire: i meriti sono del sottoscritto). Ha dentro di sé un fuoco che si placa solo – temporaneamente – quando raggiunge la vittoria. C’è una strana similitudine tra lui e Maradona. Ai tempi di Maradona, era Diego il grande antipatico. Odiato da mezza Italia e anche di più. Basterà ricordare i fischi alla sua Argentina in tutti gli stadi di Italia 90. E tanti dicevano: ma come fate a sopportarlo? Oggi al suo posto c’è Antonio Conte. Che pure si è sempre comportato così, alla Juventus come all’Inter e alla Nazionale. Ma la sensazione è che allora tutto questo clamore sui modi di fare del tecnico leccese non ci fosse. Come se adesso fosse più fastidioso di sempre. Più insopportabile di quanto sia stato nel passato.
La spiegazione è semplice: più vinci, più sei antipatico. E i due vincono, anche laddove non si è vinto quasi mai. E vincono senza concessioni alla retorica della diversità napoletana. Anzi. La Napoli antipatica funziona decisamente meglio di quella simpatica che si svende per due notti in bed and breakfast. Vince, guadagna, accumula capitale, investe, si fa rispettare, detta le regole. Eppure – sembra assurdo – la Napoli che trionfa non riesce a diventare un modello da seguire. Non riesce a scalfire l’immagine stereotipata che lampeggia incessantemente in vetrina. Probabilmente perché è troppo complessa da imitare. Effettivamente è decisamente più semplice mostrare come si beve la limonata a cosce aperte.











