Guillermo Coppola: «Tra me e Maradona nacque una relazione sentimentale, Napoli per lui fu il destino»

L'ex agente di Diego alla Gazzetta: «Il miglior Maradona? Quando vinse il primo scudetto al Napoli. Papa Giovanni Paolo II gli disse: “Tu sei più famoso di me”». 

Maradona

View of murals depicting Argentinian football legend Diego Maradona at La Boca neighborhood, in Buenos Aires on November 25, 2020, on the day of his death. (Photo by ALEJANDRO PAGNI / AFP)

Lo storico agente di Diego Armando Maradona, Guillermo Coppola, ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport dove ha parlato del legame che aveva con El Pibe de Oro.

L’intervista a Guillermo Coppola, ex agente di Maradona

Guillermo, ma alla fine dei conti lei chi è?

«Sono El Representante, l’uomo che nel mio Paese ha fatto di questa attività un mestiere. Oggi ci sono centinaia, migliaia di procuratori che davanti a me si levano il cappello. Per il resto, sono un uomo imperfetto, amante del bello. Ho avuto luci ed ombre come tanti, e un privilegio unico: ho passato parte della vita accanto al più grande».

E allora chi era davvero Diego?

«Era il genio. L’estasi e il tormento. Il Dio del calcio, ma anche dello spettacolo. Bisogna tornare a Napoli, la città più bella del mondo, perché è lei che spiega Maradona. Un popolo intero si inchinò perché Diego trascendeva il pallone. In un’epoca fu Di Stefano il più grande, in un’altra Pelé, oggi è ancora Messi, ma Diego è stato unico e diverso in tutto. Una volta Giovanni Paolo II gli disse: “Tu sei più famoso di me”».

Lei ha detto una volta: con Diego eravamo una vera coppia e tra noi è mancato soltanto il sesso…

«Dal 1985 al 1990 il nostro è stato un rapporto puramente professionale. Poi ci siamo separati bruscamente e ritrovati dopo il Mondiale del 1994. Da lì è stato tutto diverso: è nata una relazione sentimentale, un bisogno di stare insieme. Un amore quasi fisico. Ci baciavamo, ci abbracciavamo, dividevamo tutto, lo spazio e l’aria. È mancato solo il sesso tra di noi. Eppure, c’è stato un tempo in cui ero diventato il principale nemico, diceva che avevo rubato i soldi delle figlie. E cosa feci di fronte a quelle accuse? Mi autodenunciai, non mancava nulla, neanche un dollaro».

Questa vita estrema l’ha portata anche in carcere per 97 giorni: che esperienza è stata?

«Fui incarcerato ingiustamente da un giudice e da poliziotti che poi finirono a loro volta in carcere. Sono finito dentro senza motivo, con accuse di traffico di droga infondate. In quel momento Diego e la sua famiglia sono stati il mio bastione».

Che relazione ha ora con la famiglia di Maradona?

«Sono stato io a portare la prima maniglia del feretro di Diego, un gesto che per me vale tutto. Oggi con l’ex moglie Claudia e le figlie c’è rispetto, anche senza vederci spesso: sanno che ci sarò sempre».

Qual è il momento in cui lo ha visto più felice?

«Quando aveva vicino il suo giocattolo rotondo, che fosse nel fango o nella finale Mundial. Diego è stato felice, anche se inquieto: lo era quando ha sposato Claudia, quando nascevano le figlie, quando scopriva Napoli. E quando, a 5 mesi da Messico ’86, mi disse: “Guillote, vinceremo e sarò il migliore”».

E il momento più triste?

«A inizio 2000 a Punta del Este, quando rischiò di morire dopo giorni di eccessi di ogni tipo».

Qual è stato il miglior Diego su un campo di calcio?

«Tutti potrebbero pensare a quello dell’86 che lo rese eterno, e invece dico quello della stagione successiva, che vinse il primo scudetto al Napoli».

Napoli fu più un dono o un peso?

«Napoli fu semplicemente il destino. Il suo destino. Lì doveva stare, non altrove. Napoli lo ha reso grande e amato in modo estremo. Pensate che una volta festeggiammo un compleanno in nave, in segreto, e quando guardammo fuori eravamo circondati da barche ovunque. Anche lui ricambiò questa follia d’amore, resterà per sempre un napoletano».

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