La grande divisione nel calcio di oggi è tra allenatori che danno libertà e allenatori ossessionati dal controllo (Times)

"Non si tratta più di chi difende o di chi attacca. Ancelotti opta per non avere una filosofia, Arteta imbriglia i suoi giocatori. Guardiola sta cambiando ma Grealish senza di lui è tornato in sé"

Ancelotti allenatori calcio

Brazil's Italian head coach Carlo Ancelotti gestures during the 2026 FIFA World Cup South American qualifiers football match between Ecuador and Brazil at the Monumental Banco Pichincha stadium in Guayaquil, province of Guayas, Ecuador on June 5, 2025. (Photo by Rodrigo BUENDIA / AFP)

Il Times prende spunto dal caso Eze all’Arsenal per raccontare qualcosa di più grande del semplice mercato: il modo in cui oggi gli allenatori gestiscono – e spesso controllano – i propri talenti nel calcio. Dall’ossessione di Mikel Arteta per i dettagli e per le posizioni codificate, alla filosofia “senza filosofia” di Carlo Ancelotti, fino al pragmatismo di Guardiola e ai richiami di Bielsa e Carsley; in mezzo il vero spartiacque del calcio moderno: quanta autonomia concedere ai giocatori e quanta parte del gioco lasciare al loro istinto. Ne emerge un ritratto di un calcio sempre più micro-gestito, ma in cui qualcuno prova ancora a restituire libertà e creatività al campo.

In uno schema, il Times li schiera così:

I controllori, i teorici della superiorità del sistema di gioco: Guardiola, Luis Enrique, Van Gaal, Arteta, Amorim, Maresca, Slot
I libertari: Ancelotti, Ferguson, Wenger, Flick, Scaloni
Quelli metà metà: Bielsa, Glasner.

Gli allenatori moderni hanno tolto creatività al calcio, lavorando su ogni dettaglio di gioco (Times)

Scrive così il Times con Jonathan Northcroft:

“In quel giorno d’estate in cui l’Arsenal comprò Eze, Mikel Arteta fece le fusa. […] Arteta, come un vigile, urla e indica a Eze di restare nella sua corsia di ala sinistra. Poi lo mette in panchina contro il City. Al suo posto, nei due ruoli in cui avrebbe potuto giocare, c’erano Mikel Merino e Leandro Trossard. Giocatori di sistema.

I tossicodipendenti pensano sempre che cambieranno finché ciò che li tiene in pugno non riprende il sopravvento, e l’abitudine di Arteta è il controllo. È un allenatore virtuoso ma c’è una compulsione a mettere il proprio timbro su tutto: sull’inno che sceglie per lo stadio del suo club, compra al centro d’allenamento un cane chiamato “Win” e regola persino la temperatura delle vasche di ghiaccio. […] 

Più vedo il calcio di oggi, più sono convinto che il più grande divario tra allenatori non sia tattico né sul difendere o attaccare. Ha a che fare con l’autonomia. Quanta ne danno ai loro giocatori? Fino a che punto rinunciano alla paternità del gioco in favore dei talenti in campo? […] Come Ruben Amorim, con le sue sciocchezze su come nemmeno il Papa potrebbe fargli cambiare sistema […] Il promemoria che esiste un modo diverso di allenare sta nelle parole di Jude Bellingham nel nuovo libro di Carlo Ancelotti “The Dream”.

Le istruzioni di Ancelotti sono minime, diceva Bellingham, dicendo ai giocatori solo ciò che serve. […] Ancelotti definisce il suo approccio come “nessuna filosofia” e, sebbene strutturato difensivamente, dice che quando i suoi giocatori hanno il pallone: «Non mi piace ossessionarli con forme predefinite, lascio a loro l’iniziativa». È in contrasto con molti che in panchina sembrano costretti a essere i designer di ogni azione, la cui unica vittoria è quando la loro filosofia viene espressa. […]

Le convinzioni e le pratiche di Arteta sono quelle del gioco posizionale, sviluppato al Barcellona dai triangoli e dallo sfruttamento dello spazio di Johan Cruyff. Il suo sommo sacerdote è Pep Guardiola. […] Il giovanile e giocoso Jack Grealish era logorato e con gli occhi scavati alla fine di quattro stagioni nella matrice di Guardiola dove le richieste includevano di restare largo, limitare i dribbling e semplicemente mantenere il possesso. Eppure Grealish sembrava di nuovo se stesso in due partite di prestito all’Everton. […]

Prosegue il Times

Per loro allenare si basa sulla ripetizione e sulla programmazione dei giocatori, e per molto tempo è sembrato una meraviglia: quei racconti di Guardiola che afferra i calciatori per le spalle e ri-posiziona i loro corpi per insegnare la posa corretta per ricevere la palla, o tenere lezioni sulla parte esatta del piede da utilizzare per particolari passaggi.

Il Times fa l’esempio dell’Argentina di Scaloni che ha vinto il Mondiale concedendo libertà, ovviamente aveva Messi.

ostinatamente un sistema. In questo modo sta tornando alla striscia guidata dai giocatori che ha avuto all’inizio della sua carriera con Lionel Messi.

Messi è stato centrale per il manager dell’Argentina Lionel Scaloni che ha vinto il Mondiale ignorando i dogmi del coaching europeo per tornare a un modo di giocare più libero, più “argentino”, basato su dribbling, combinazioni e un numero dieci che inventa il gioco. Gli argentini l’hanno soprannominata La Nuestra (“La nostra cosa”) e l’assistente di Scaloni, Matias Manna, ha riassunto come l’approccio si sia allontanato dalla micro-gestione del dettaglio e sia andato verso il pensiero degli esseri umani nel gruppo di gioco. «Un barbecue è meglio di 20 video chat – ha detto Manna -. Il gioco aperto è disegnato per imitare la logica della NFL».

Il Times elogia il gioco di posizione del Psg di Luis Enrique che pure concede libertà per i giocatori chiave: Vitinha e Ousmane Dembélé.

Nel peggiore dei casi, invece, l’over-coaching schiaccia l’anima. Robin van Persie trovò insopportabile Louis van Gaal al Manchester United. Van Gaal (il cui assistente, Albert Stuivenberg, è ora il vice di Arteta) disse a Van Persie che, come suo numero 9, doveva correre sul  primo palo per ogni cross. Wayne Rooney, il numero 10, sarebbe andato al secondo. Van Persie suggerì che uno dei suoi punti di forza era il movimento e che forse a volte poteva semplicemente leggere il gioco e decidere dove andare. Rooney era abbastanza intelligente da muoversi in base a lui”.

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