La discesa libera ormai è uno sport estremo. Vale la pena morire per centesimi di secondo? (Süddeutsche)
"I velocisti sono drogati autodichiarati alla ricerca della discesa perfetta. Ma la morte su una pista battuta non può diventare una prassi. Vanno cambiati i materiali"

Italy's Matteo Franzoso competes during the Super-G of the FIS Alpine Skiing Men's World Cup in Wengen, Switzerland, on January 13, 2023. (Photo by Fabrice COFFRINI / AFP)
La discesa libera ormai è uno sport estremo. Vale la pena morire per centesimi di secondo? (Süddeutsche)
Vale la pena correre il rischio di morire per centesimi di secondo e per la gloria sportiva?”. Se lo chiede la Süddeutsche Zeitung commentando l’ultima tragedia dello sci: la morte in Cile dell’italiano Franzoso. E’ discorso generale, sulla natura stessa della discesa libera.
“Quasi nessun altro sport oggi è così irto di infortuni gravi e persino di morti come lo sci alpino – premette la SZ – Il diciassettenne Max Burkhart otto anni fa, il francese David Poisson , la diciannovenne Matilde Lorenzi l’anno scorso , e ora Franzoso… è una lista dolorosamente lunga, solo nel recente passato. A ciò si aggiungono casi come quello del discesista d’élite Cyprien Sarrazin , sopravvissuto a malapena a una caduta lo scorso inverno. Le storie di coloro che sono sfuggiti alla morte sono quasi altrettanto terrificanti. Gli sciatori sono spesso più vicini agli sport estremi che ai loro colleghi degli sport invernali”.
“Gli sciatori, soprattutto nelle discipline veloci, vivono per la loro frequenza cardiaca; sono dei drogati autodichiarati alla ricerca della discesa perfetta, cosa che in questo sport non è mai del tutto realizzabile. Forse è un errore equipararli ai colleghi di molti altri sport invernali solo perché appaiono insieme a loro in TV ogni fine settimana. In realtà, la discesa libera su una cresta stretta assomiglia spesso alle attività di alpinisti e atleti estremi”.
“C’è però una cosa che separa l’alpinista dallo sciatore alpino, ed è un aspetto cruciale di questo dibattito sulla sicurezza, che deve essere affrontato con ancora più urgenza dopo la morte di Franzoso: non deve diventare prassi comune che le persone muoiano su piste chiuse al traffico, mentre sciano attraverso porte fisse su piste battute”.
Sì, ci sono gli airbag (che peraltro gli stessi sciatori sono restii ad usare), ma “l’attuale brutalità dei materiali non è più accettabile; sono necessari nuovi standard moderati da parte della Fis, l’organismo di governo mondiale dello sci, orientati a una maggiore sicurezza e a velocità massime inferiori. Ciò, tuttavia, richiederebbe anche la volontà di tutti i funzionari e delle federazioni nazionali di non bloccare le corrispondenti riforme nei loro comitati, poiché potrebbero quindi svantaggiare i propri atleti. Ed è chiaramente necessaria una riforma delle piste di allenamento: in Cile, Franzoso è morto schiantandosi contro una recinzione di legno con solo due reti davanti. Sono in corso indagini per determinare se tutti gli standard di sicurezza siano stati rispettati. Una cosa è certa: è diventato più difficile trovare neve adatta agli allenamenti in qualsiasi parte del mondo, in estate e in autunno, e sta diventando sempre più costoso e dispendioso in termini di tempo mettere in sicurezza piste di allenamento come quelle di Coppa del Mondo, anche se questo sarebbe l’unico modo per garantire una maggiore sicurezza”.
Ma alla fine “ogni singolo sciatore deve in ultima analisi chiedersi se vuole correre il rischio quando è alla partenza di una gara o di un allenamento. Consapevole che questo rischio non sarà mai pari a zero e che una tragedia non colpirebbe solo lui”.