Salvatores: «Scelsi il cinema quando mi diagnosticarono la leucemia. Mi avevano dato 4 anni di vita»

Al CorSera: «Per fortuna non era vero, è diventato il mio rifugio. L'Oscar con Mediterraneo? Una botta di fortuna, c’era un film straniero migliore del mio» 

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Il Corriere della Sera riporta le dichiarazioni di Gabriele Salvatores dal Bif&st di Bari. Il regista premio Oscar ha raccontato come si è avvicinato al mondo del cinema. Il merito è stato di una diagnosi medica sbagliata. Quando aveva 30 anni, infatti, nel 1980, gli dissero che aveva la leucemia e che gli restavano pochi anni da vivere.

«Ero ricoverato in ospedale, il medico mi disse che avevo 4 o 5 anni di vita. Per fortuna non era vero».

Salvatores continua:

«Mi dissi, se esco da qui faccio quello che mi piace veramente, il cinema. Ho sacrificato la mia vita privata, e il desiderio di avere un figlio. Hitchcock una volta disse: per la gente un film è solo un film, per me è la vita intera. Oggi non ne sono sicuro al cento per cento. Ma è vero che il cinema rende la vita più bella. È diventato il sostitutivo della realtà, un altro modo di vivere. La realtà a volte è deludente, diceva Fellini. E ci si rifugia in un film, che fai finire come vuoi tu. Nella vita non c’è un copione».

Il suo primo film è stato “Sogno di una notte d’estate”, tratto da Shakespeare. Salvatores racconta:

«Non l’ha visto nessuno, solo mio padre, mia madre e una delle mie sorelle. La più intelligente non volle vederlo. Non conoscevo quei tempi di attesa lunghissimi. Mi spaventarono. L’ansia e la paura mi sono rimaste».

Sull’Oscar vinto con Mediterraneo:

«Fu una botta di fortuna, c’era un film straniero migliore del mio. Dopo, avrei potuto fare Oceano Indiano, Oceano Atlantico… In America mi proposero il remake, la stessa storia con i soldati Usa in un’isola giapponese. Questo mi spinse a dire no. La statuetta, quello strano signore liscio, nudo e senza peli, mi diede una specie di superpotere che non mi aspettavo, eppure io ero la stessa persona del giorno prima della vittoria, che non aveva insegnato a fare meglio il cinema. Grazie all’Oscar ho potuto lavorare su progetti che mi rimettevano in gioco».

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