Giacomo Agostini: «Ho paura di morire. Quando correvo non ci pensavo, ora mi accorgo del tempo che passa»

L'ex pilota compie 80 anni: «Ho sempre avuto consapevolezza di me stesso. La grande meticolosità mi ha aiutato a evitare tanti incidenti e a vincere di più».

Giacomo Agostini

Db Milano 14/12/2021 - Gazzetta Sports Award 2021 / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Giacomo Agostini

Giacomo Agostini compie 80 anni. Ieri il Corriere dello Sport ha ospitato una sua intervista. Oggi lo fanno altri quotidiani. A cominciare dalla Gazzetta dello Sport. L’ex pilota di motociclismo è stato 15 volte campione del mondo, vincitore di 122 Gran Premi. Parla dei suoi 80 anni.

«Mi vergogno. E da una parte mi mette anche un po’ di tristezza. Perché mi guardo e dico che è impossibile che siano così tanti».

Va ancora in moto, fa tante cose.

«Poi l’altro giorno un mio amico mi ha dato un metro… Nasci, qui finisci la scuola, le prime corse, il primo Mondiale, il ritiro e via fino a 80 cm. Lo vedi quanti sono?».

Ha paura della morte?

«Sì. Quando correvo non ci pensavo, a quell’età sei un po’ incosciente, però se guardi questo metro ti rendi conto del tempo che passa. E di quanta strada hai fatto».

È stato il campione della gente?

«Sì, mi piace pensarla così. L’esempio che faccio è quello dei minatori belgi, che il giorno dopo una mia vittoria a Spa portavano il tricolore giù in miniera. Ci sono stato pochi mesi fa a Marcinel, a visitarle, ed è stato un colpo al cuore vedere in che condizioni lavoravano. E morivano».

Si descriva in tre aggettivi.

«Serietà, per la grande passione che avevo. La consapevolezza, che ho sempre avuto di me stesso. E la grande meticolosità che ho messo in tutto, mi ha aiutato a evitare tanti incidenti, come a vincere di più».

Al Messaggero racconta di come ha iniziato a correre e soprattutto della famiglia, che non voleva.

«La mia famiglia non voleva che corressi, dicevano che era troppo pericoloso. Mi chiedevano da dove venisse questa passione per le moto. Non so, forse da una mia zia materna. Amava le macchine, ne aveva già allora una truccata. Fatto sta: ho sempre voluto correre in moto ma mio padre non voleva, mi ha ostacolato, nel senso che non mi ha aiutato».

Finché, a 18 anni, ci fu l’incontro con un notaio un po’ sordo…

«Sì, quando siamo andati da quest’amico di papà, che non ci sentiva bene, ha capito che volessi correre in bicicletta e non in motocicletta, e gli disse: massì, dai, Aurelio che fa bene fare sport. Si è poi reso conto dell’errore ma ormai c’era la firma. Sono scappato a fare la licenza per poter correre».

 

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