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È impossibile spiegare l’internazionalizzazione ai cacciasordisti. Quindi, caro Napolista, rinuncia

È impossibile spiegare l’internazionalizzazione ai cacciasordisti. Quindi, caro Napolista, rinuncia

Caro Napolista, sono un rafaelita non integralista che ti legge da tempo e spesso condivide le posizioni di chi scrive sul tuo portale. Sono ad esempio certo che il concetto di internazionalizzazione, pietra della discordia che anima le discussioni calcistiche cittadine in questo periodo di vuoto di pallone, se applicato a dovere, avrebbe portato, nel medio/lungo periodo, i benefici che tutti i tifosi vorrebbero vedere da subito. Sono convinto anche che il processo di crescita della squadra e della società non si sia arrestato ma sia banalmente arrivato a quel punto dove crescere diventa più faticoso e difficile e dove è possibile anche assistere a un anno di rendimento in discesa se questo è inserito all’interno di un quinquennio di crescita netta generale. Non sono, invece, del tutto convinto che l’internazionalizzazione passi necessariamente attraverso un allenatore o, almeno, non solo.

Ricordo con nostalgia i passati mesi estivi durante i quali il nostro presidente, che, beninteso, ha il diritto anche lui di sbagliare e che sempre ringrazierò per averci portato fuori dalle sabbie mobili che tutti conosciamo, parlava di progettazione, di scugnizzeria e di Napoli lab. Tutti questi discorsi sono presto spariti e, personalmente, sono convinto che siano questi gli aspetti sui quali il processo di crescita si è arenato. I grandi campioni si convincono grazie ai grandi stipendi, ai grandi allenatori, ma anche grazie alle grandi società con grandi strutture sportive, grandi staff tecnici e dirigenziali, grande organizzazione, grandi stadi.

È questo l’aspetto che, a mio parere, ha portato alla stagione fallimentare appena conclusa. Perché possiamo discuterne fino all’inizio del nuovo campionato ma le modalità che ci hanno portato a non raccogliere i risultati che le vicende ci avevano fatto intravedere durante tutto l’anno rendono, secondo il mio punto di vista, la stagione fallimentare. Rafa aveva probabilmente capito già ad agosto che non avrebbe potuto contribuire alla vera crescita della società ed ha iniziato a lavorare per il futuro, distraendosi dal presente, troppo in anticipo rispetto alle esigenze della squadra che ne ha, inevitabilmente, pagato le conseguenze in termini di attenzione. A testimonianza di questo basta citare un Albiol e un Callejon irriconoscibili rispetto alla passata stagione oppure il numero impressionante di rigori falliti, o, ancora, le innumerevoli distrazioni in difesa e a centrocampo che hanno portato ad avere una delle porte più bucate della serie A nonostante il numero minimo di occasioni da gol concesse agli avversari.

Sono convinto che, se avessimo avuto più pazienza e fossimo stati in grado di aspettare il buon Rafa, egli ci avrebbe insegnato non solo come si vince ma, soprattutto, come si fa a diventare una società vincente e in grado di rimanere sempre al vertice.

Quando si parla d’internazionalizzazione io intendo questo. Intendo la capacità di una società di essere e rimanere vincente, la possibilità di farsi conoscere il tutto il mondo e di conquistare sempre più tifosi e simpatizzanti che procurano la linfa necessaria a portare avanti il progetto e a continuare a farlo crescere anche quando, dall’alto delle posizioni conquistate, crescere diventa più difficile. Nella mia personale visione, internazionalizzazione non significa avere un tecnico e giocatori stranieri. Internazionalizzazione per me vuol dire avere un tecnico e dei giocatori riconoscibili a livello internazionale, qualunque sia la loro nazionalità. Sono convinto che legarsi e trattenere un allenatore come Benitez avrebbe giovato in questo senso e che i risultati li avremmo potuti vedere nel medio periodo se avessimo avuto la pazienza di seguire un personaggio che sta nel calcio da molto più tempo e in maniera estremamente più approfondita rispetto a tanti opinionisti che criticano dai salotti televisivi.

Sono convinto che le nuove scelte della società non aiuteranno la così intesa internazionalizzazione e il relativo processo di crescita. Questo non perché il nuovo allenatore e i nuovi giocatori siano italiani, anzi, ben venga. La mia sensazione è dovuta al fatto che i nuovi nomi non sono riconoscibili, o almeno non ancora, al di là delle alpi e non aiuteranno a portare il nome della squadra in giro per il mondo con i conseguenti nuovi tifosi e nuovi introiti. Come tutti i tifosi del Napoli, spero fortemente che si possa aprire un ciclo alla Conte o alla Sacchi ma, in assenza di una società strutturata, ho paura, ahimè, che questo richiederà ancora più tempo di quello necessario alla crescita che il percorso precedente faceva intravedere e dubito che il tifoso che dagli spalti grida al pappone, al chiattone e tutti gli altri epiteti che terminano in –one, avrà la pazienza che il nuovo corso sembra richiedere. Non ritengo che questo nuovo corso possa portare a esaltanti vittorie nell’immediato e, se anche venissi con mia somma gioia smentito, non penso che possa portare a far sedere stabilmente la società alla tavola dei “grandi”.

Discuto quotidianamente di questi argomenti con amici, parenti e conoscenti e mi sembra davvero che il tifoso medio non riesca a comprendere che c’è una grossissima differenza tra vincere un anno e avere la possibilità di vincere sempre (sebbene senza riuscirci). Ho l’impressione che chi intuisce cosa significa internazionalizzazione non riuscirà mai a spiegarlo a chi grida “caccia ‘e sorde!” e che questi ultimi non abbiano interesse a capire il significato nascosto dietro quella parola tanto abusata in questo periodo.

Per questo motivo, caro Napolista, sono stanco di continuare questa battaglia ideologica senza uscita e, in verità, sono anche stanco di continuarne a leggere. La discussione, potenzialmente costruttiva, si è trasformata in una polemica sterile. Ho deciso di non leggere più tutto quello che riguarda “l’internazionalizzazione” e di voltare pagina. Mi piacerebbe poter ritornare a leggere del mio Napoli, dello sport che amo e non di lotte intestine tra le testate giornalistiche della città. Mi piacerebbe che in città si potesse discutere costruttivamente per il bene della società, magari anche esagerando in maniera ridicola come farebbe qualche quotidiano piemontese, remando tutti dalla stessa parte (mi verrebbe da dire #spallaaspalla). Il mio consiglio, da umile vostro lettore, è quello di lasciar perdere le diatribe (non ragioniam di lor ma guarda e passa) e di tornare a parlare, con i modi colti ed eleganti che da sempre ti contraddistinguono, delle cose reali che riguardano la nostra squadra del cuore. #forzanapolisempre
Raffaello Corona Mendozza

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