Lukaku again, è lui il simbolo del Napoli di Conte: detestato come il papà, divisivo come il papà
Lukaku sta a Conte come Liv Ullmann a Ingmar Bergman. Ai napoletani non piace forse perché incarna quel gioco di strada, sporco, che loro vogliono dimenticare

As Roma 02/02/2025 - campionato di calcio serie A / Roma-Napoli / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: Romelu Lukaku-Evan N'Dicka
Lukaku again, è lui il simbolo del Napoli di Conte: detestato come il papà, divisivo come il papà
È tornato l’uomo scudetto. C’è anche McTominay certo. Ma Lukaku è stato il simbolo del Napoli, perché simbolo di Antonio Conte. Il suo uomo. La sua musa. Lukaku sta a Conte come Liv Ullmann a Ingmar Bergman, Marcello Mastroianni a Federico Fellini e bla bla bla. È stato lui l’uomo simbolo del Napoli del quarto scudetto. O meglio l’uomo più identitario (termine molto in voga soprattutto quando si parla di Partenope con o senza acca). Perché si fa presto a dire McTominay. Scott non è stato un personaggio realistico. È stato un fumetto. Un super eroe. Senza infamia, senza macchia. Solo gol, peraltro bellissimi e decisivi. È facile così, sono bravi tutti ad applaudire o persino ad innamorarsi (che parolone). Dalla Scozia con furore ha conquistato Napoli. Whisky batte Limoncello dieci a zero, e ci mancherebbe: potrebbe mai esistere un Lagavulin dei limoncelli? O, chessò, l’Ardbeg? Il Glenrothes? Ci siamo capiti. McTominay comunque è stato posticcio, nel senso di irreale. Tutto perfetto. Neanche una critica, nemmeno un mugugno. Lui funzionava, segnava e la città era ebbra di gioia. E ovviamente ne ha prodotto santini. Tutto molto bello, avrebbe detto Pizzul. Ma anche tutto molto scontato.
Perciò il simbolo del Napoli è Romelu Lukaku. Perché lui è stato ed è sangue e merda. Come lo stesso Conte. Che a Napoli è considerevolmente meno amato di quanto la narrazione non lasci immaginare. Antonio Conte è il vero mister Wolf vesuviano. Risolve problemi e possibilmente vince. E contemporaneamente sta anche sul cazzo. A tutti. Avversari e tifosi del Napoli. Perché vince lasciando sempre un retrogusto amaro per il pubblico di Napoli che ha il palato fine e che – soffrendo di complessi di inferiorità – senza il premio della critica non riesce a vivere, sembra che gli manchi qualcosa. Chissà se a Napoli qualcuno balzerà dalla sedia leggendo che Arrigo Sacchi ha piazzato la squadra di Conte al primo posto della classifica estetica della Serie A.
Ma torniamo a Lukaku. ‘O commò (il comò), giusto per citare un epiteto riferibile. Il frigorifero. Insomma un paracarro. Detestato dai tifosi che non riescono nemmeno a rendersi conto che ha due piedi sopraffini e che l’anno scorso se McTominay ha segnato tanti gol, è proprio perché c’era il frigorifero là davanti che se ne portava almeno due di avversari. Perché guai a sottovalutare Romelu. Lui arriva e ti castiga. Con un stop al bacio, un assist millimetrico (ha piedi sensibili, lui) o un gol. Come quello a Bergamo, il terzo, quello del 2-3, la rete più importante del campionato scorso. La più roboante. La più eccitante. Certo dopo la rovesciata di Scott, ma sono situazioni diverse. È Romelu il simbolo del calcio di Antonio Conte e appunto per questo mal digerito dal pubblico. Un calcio nervoso, frastagliato, mai lineare né sinuoso. Siamo lontani da Kapoor o dalle curve morbide di Niemeyer. È un calcio a scatti, di quello che si giocava per strada, facendo anche a botte. Mettendosi le mani addosso. Forse è per questo che non piace ai tifosi del Napoli, incarna la reminiscenza. È uno specchio che i napoletani non vogliono guardare. Ricorda loro la puzza delle strada.
Fatto sta che Lukaku fa discutere e litigare come a Napoli si è sempre fatto, e non solo a Napoli. Il perbenismo imporrebbe di non raccontarlo ma al primo gol di Hojlund un sondaggio segreto tra i tifosi del Napoli ha segnato un 98% di sì alla domanda “sei contento che Lukaku si è infortunato?”. Domenica a Udine è parso di rivederlo in quell’assist di petto del danese per Spinazzola. Perché in mancanza dell’originale, Conte ha lavorato alla lukakizzazione del danese. Con esiti altalenanti, diciamolo. Hojlund è un altro giocatore. La fisiognomica non mente. Non è per un calcio a sportellate. Ve lo immaginate Hojlund inscenare il capronesco testa a testa con Ibrahimovic? Non è da lui. È più il bravo ragazzo di famiglia. Lukaku, che è un gigante buono e un professionista esemplare, li porta comunque addosso i segni della fame vissuta da bambino. Si vede. Anche se non fa niente per dimostrarlo.
Lukaku è un po’ così: o lo ami o lo detesti. E se lo ami, lo ami perché sai che lui la perfezione non sa nemmeno dove sta di casa. Soffri quando viene puntualmente anticipato. O in quelle giornate in cui fatica pure a coordinarsi. Però poi sorridi come un bambino quando uncina quel pallone col sinistro e lo manda dove vuole come se stesse giocando a squash. Lukaku è il legno storto. Lukaku è il calcio di Conte. Lukaku siamo noi. Molto più forte di noi. Però è troppo educato per ostentarlo.











