Sergio Tacchini: «Ho inventato i testimonial, il primo fu Nastase. Non esistono campioni come McEnroe»
Alla Gazzetta l'ex tennista e stilista: «Ho giocato molto con Pietrangeli, ma siamo completamente diversi caratterialmente. Sinner? Non si possono discutere le scelte di un fuoriclasse».

Screenshot da YouTube.
L’ex tennista e stilista Sergio Tacchini ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport.
L’intervista a Tacchini
Con Pietrangeli siete amici?
«Abbiamo un buon rapporto, ma due caratteri completamente diversi. Abbiamo giocato molto assieme, penso di poter dire di essere stato un buon secondo per Nicola. Tutto sommato qualche qualità ce l’avevo anch’io».
Nel 1960 arrivaste in finale di Coppa Davis:
«Peccato che oggi la Davis non sia più la Davis: noi andavamo a giocarla tutto l’anno, in tutto il mondo. Oggi si risolve in 4-5 giorni. Ma devo dire una cosa. Mi è spiaciuto leggere che agli italiani non piace Sinner. Sinner è un grande giocatore che ha il diritto di scegliere della sua vita come meglio crede. È un grande atleta, un grande personaggio. Non si arriva ai livelli in cui è arrivato Sinner senza essere fuori dal comune. Non si possono discutere le scelte di un fuoriclasse che ha tutto il diritto di gestirsi a fronte di un’attività stressante, massacrante».
Senza Sinner l’Italia può vincere la Davis?
«È difficile, cambia tutto. Con lui hai la certezza di vincere tutti i suoi punti. Senza, è un terno al lotto. Musetti mi piace, sembra che non abbia nessun legame con il tennis attuale. Gioca il rovescio a una mano come Dimitrov, Tsitsipas, Shapovalov, come un giocatore di una volta. Io prenderei in considerazione anche Berrettini: gioca bene le partite importanti, è solido sotto questo punto di vista, di testa».
Lei è stato uno dei primi 15 del mondo, eppure ha vinto di più quando ha smesso di giocare:
«Volevo un lavoro che mi consentisse di rimanere nello sport. Mi ero sposato e avevo già mio figlio Alessandro. Ho preso una cosa che aveva un valore, il mio nome, la mia immagine, e l’ho applicata al tennis, che era la mia vita».
Ha portato il colore in un mondo che era dominato dal bianco…
«Il mondo stava cambiando, i giocatori avevano voglia di qualcosa di nuovo».
Altra rivoluzione, si è inventato i testimonial:
«Non esisteva il concetto di sponsorizzazione. E non volevo soltanto grandi giocatori: dovevano avere qualcosa di speciale, una personalità che facesse breccia sul pubblico. Che era quello che doveva comprare le magliette. Il primo fu Ilie Nastase, quanto abbiamo riso insieme. Poi arrivarono McEnroe, Ivanisevic, Navratilova, Sabatini».
Il suo campione del cuore?
«Come John McEnroe nessuno».
È vero che le piaceva di più Barazzutti di Panatta?
«Panatta ha cominciato con me, poi è passato alla Fila. Barazzutti ha continuato con me per diversi anni. Non sono paragonabili. Barazzutti è stato un giocatore molto serio, è arrivato a essere il numero 7 del mondo. Panatta era tutto estro e se vogliamo un po’ meno applicazione. Impossibile confrontarli».
Tra Federer, Djokovic e Nadal chi preferiva?
«Nadal, sempre. Un giocatore particolare, o lo amavi o lo odiavi».
I suoi nipoti hanno seguito le sue orme?
«La mia prima nipote, Marella, ha il mio carattere: sciava con Marta Bassino, ma ha avuto due infortuni gravi e ha lasciato. È maestra di sci, però adesso lavora in un’azienda del settore del lusso».











