Il Napoli di Conte vittima della nostalgia degli ismi (sarrismo, spallettismo). Nemmeno essere primi basta
Ha fatto bene Conte a mettere i puntini sulle i in conferenza. Criticare è lecito ma sempre partendo dal principio di realtà che in città viene spesso by-passato, a partire dal primo posto

Napoli's Italian coach Antonio Conte reacts from the sidelines during the Italian Serie A football match between Napoli and Como at the Diego Armando Maradona stadium in Naples, on November 1, 2025. (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)
Le parole di Conte sono assoluta verità
Nella conferenza stampa di presentazione di Napoli-Eintracht Francoforte, Antonio Conte ha detto delle frasi molto importanti. Anche molto banali, se analizzate dalla sua prospettiva – una prospettiva che si nutre di numeri e di buon senso. Ci riferiamo a questo passaggio qui, in particolare: «Noi abbiamo avuto difficoltà assurde dall’inizio della stagione e continuano a essere lì. Vedo la classifica e in testa c’è il Napoli». Avrebbe potuto – forse avrebbe dovuto – dire anche che il Napoli è da solo in testa alla classifica, un altro aspetto piuttosto importante della situazione. Sì, perché – come rilevato dallo stesso Conte – il Napoli è da solo in testa alla classifica, eppure è una squadra nel mirino delle critiche, che secondo un bel po’ di persone non sta(rebbe) rispettando le aspettative e le promesse di inizio stagione, che secondo queste stesse persone giocherebbe un calcio brutto e inefficace.
Al di là della soggettività inviolabile dei giudizi personali, quello che dice Conte è una verità assoluta. E non solo perché, numeri alla mano, il Napoli è in testa alla classifica (da solo). Ma perché questo primato, ed è questa la parte fondamentale di tutto il ragionamento, è stato conquistato nonostante i problemi vissuti dalla squadra azzurra. Problemi che esistono e che in buona parte dipendono dallo stesso Napoli, e su quegli aspetti bisognerà lavorare per far sì che la stagione continui nel migliore dei modi. Allo stesso tempo, però. chi critica dimentica il contesto in cui il Napoli è immerso: un contesto di elevata e comprovata difficoltà, in cui è complicatissimo primeggiare. Figuriamoci dilagare, cioè prendersi un netto vantaggio fin dalle prime partite della stagione.
Gli infortuni del Napoli
Il debunking inizia inevitabilmente da qui, anche perché lo stesso Conte ha parlato delle tante assenze con cui ha dovuto fare i conti. E allora ecco un veloce, doveroso riepilogo: dall’inizio della stagione 2025/26, in cui finora sono state disputate dieci gare di Serie A e tre di Champions League, il Napoli si è visto privato di Romelu Lukaku per 13 partite, di Alex Meret per 4 partite, di Amir Rrahmani per 7 partite, di Mati Olivera per una partita, di Miguel Gutiérrez per 2 partite, di Leonardo Spinazzola per una partita, di Stanislav Lobotka per 3 partite, di Scott McTominay per una partita, di David Neres per una partita, di Rasmus Hojlund per 3 partite, di Kevin De Bruyne per 2 partite. E questi sono solo gli infortuni “ufficiali”, cioè sono numeri che non tengono conto di sostituzioni forzate, affaticamenti, ritardi di condizione vari.
Ora è chiaro che indagare sul perché di tutte queste assenze sarebbe cosa buona e giusta, nel senso che la ricorrenza e la gravità di certi infortuni – soprattutto quelli muscolari – potrebbero/dovrebbero indurre a una riflessione. Per dirla brutalmente: il Napoli ha un problema significativo di infortuni, questo è evidente. Ma questo non ha inficiato il rendimento della squadra, o comunque ha avuto un impatto relativo. Perché il Napoli, come detto, è primo in classifica nel campionato di Serie A. Da solo. Con un punto di vantaggio su Inter, Milan e Roma.
Il problema del distacco (e dello Spallettismo)
Certo, Torino-Napoli 1-0 e Napoli-Como 0-0 sarebbero potute finire con un risultato diverso, più favorevole agli azzurri. Questione di valori, di blasone, quindi di aspettative. Allo stesso tempo, però, anche le inseguitrici della squadra di Conte hanno avuto i loro blackout – altrimenti, banalmente, avrebbero più punti. L’Inter, per dire, ha perso contro l’Udinese, la Juventus e il Napoli; il Milan, che ha battuto gli azzurri, è stato sconfitto dalla Cremonese e ha pareggiato col Pisa, con la Juventus e con l’Atalanta; la Roma ha perso contro il Milan, contro l’Inter e contro il Torino.
Alla base delle sensazioni negative sul vantaggio risicato, sul fatto che il Napoli non abbia ancora “ammazzato il campionato”, c’è evidentemente il ricordo della stagione 2022/23. Quella in cui gli azzurri ipotecarono la vittoria dello scudetto con molti mesi d’anticipo. Senza soffrire, per usare un’espressione cara ad Antonio Conte – come potete leggere nel commento che trovate nell’apertura della home del Napolista. Ebbene, in realtà il ricordo di quella stagione è distorto. Perché, se guardiamo la classifica alla decima giornata della Serie A 2022/23, scopriamo che il Napoli poi diventato campione d’Italia aveva soltanto due punti di vantaggio sul Milan. Uno in più rispetto a quanti ne abbia adesso.
Insomma, anche un’edizione della Serie A effettivamente dominata – come quella 2022/23 – dal Napoli non iniziò come un monologo assoluto. Certo, la squadra di Spalletti che poi avrebbe conquistato il titolo aveva quattro punti in più rispetto al Napoli 2025/26, ma bisogna tener conto anche di altri aspetti. Intanto il cambiamento di format della Champions League, con due partite in più che obbligano a ragionare più in prospettiva rispetto a quanto si faceva tre anni fa. E poi ci sono da considerare i cambiamenti del contesto, ovvero la crescita delle altre squadre e della Serie A in generale.
Un campionato difficile
Per quanto agli italiani piaccia sempre autodenigrarsi e autoflagellarsi, la Serie A resta un campionato competitivo. Rispetto a tutte le altre leghe europee, ora come ora, la nostra lega ha un solo problema: non riesce a esprimere una squadra che possa competere ad armi pari con le big di Premier League, con il Real Madrid, il Barcellona, il Bayern Monaco e il Psg. Per il resto, però, il livello del campionato è decisamente alto. In questo senso, ci sono diversi indicatori.
Il primo riguarda i risultati in Europa, sia a livello di ranking (la Serie A è saldamente seconda alle spalle della Premier) che di continuità e varietà: negli ultimi cinque anni, la Serie A ha portato quattro club diversi ai quarti di finale di Champions (Atalanta 2020, Napoli, Milan e Inter 2023, Inter 2025), tre club diversi in finale di Europa League (Inter 2020, Roma 2023, Atalanta 2024) e altri due club in finale di Conference League (Roma 2022, Fiorentina 2023 e 2024). Inoltre, sempre guardando agli ultimi cinque anni, quello italiano è l’unico grande torneo europeo che ha assegnato almeno un titolo nazionale a quattro squadre diverse (Juventus 2020, Inter 2021 e 2024, Milan 2022, Napoli 2023 e 2025).
Il secondo indicatore è quello relativo al calciomercato: quello in cui operano i club di Serie A resta ancora il secondo mercato più ricco nel mondo del calcio, con più di un miliardo (1,19 miliardi per la precisione) di euro investiti per nuovi acquisti nell’ultima sessione estiva. Va bene, la Premier è lontanissima, anzi coi suoi 3,6 miliardi vive letteralmente su un altro pianeta. Ma il nostro campionato continua a essere un contesto appetibile, o che comunque muove molti soldi. E allora le nostre squadre devono essere considerate per quello che sono, ovvero avversarie difficili da sconfiggere nel contesto interno. Una percezione che viene confermata dai numeri degli ultimi campionati.
Quanti punti servono per vincere lo scudetto (ovvero il vero Corto Muso di Allegri)
Il Napoli, in questo momento, ha una media punti per partita pari a 2,2. Con questo andamento chiuderebbe il campionato con 84 punti complessivi, una quota che – se guardiamo al dato relativo alle squadre arrivate seconde in classifica – avrebbe portato allo scudetto nel 2020, nel 2021, nel 2023, nel 2024 e nel 2025. Se guardiamo al 2020 e al 2025, 84 punti sono una quota superiore anche a quella della squadra che alla fine ha effettivamente vinto il torneo. Questo vuol dire che Conte e i suoi giocatori, quest’anno, sono perfettamente in linea con i trend di rendimento delle ultime stagioni.
Proprio qui, esattamente in questo punto, torna utile riprendere una vecchia, importantissima lezione di Massimiliano Allegri: quella relativa al Corto Muso, per cui a una squadra X – in quel caso era la sua Juventus – basta fare un punto in più di tutte le altre avversarie per conquistare il successo finale. Quelle frasi furono travisate, e così sono diventate un manifesto ideologico per un altro concetto – quello relativo alle vittorie di misura nella singola partita. Ma in realtà erano – e sono ancora – un saggio di gestione delle energie, aprono le finestra e le porte su un mondo in cui le grandi squadre interpretano le partite in base al contesto, all’amministrazione dello sforzo e quindi della forza che serve per essere grandi. Cioè, per vincere i campionati.
L’essenza dello sport (e il problema degli -ismi)
Proprio a Napoli dovrebbero saperlo bene, o comunque dovrebbero averlo capito: nel maggio 2025, gli azzurri hanno festeggiato uno scudetto arrivato grazie a un vantaggio minimo, di un solo misero punto, rispetto all’Inter. E invece, evidentemente, in molti hanno dimenticato come i campionati si vincano (anche) così, cioè speculando sui difetti, sui passi falsi, sui problemi degli avversari. Lo dice la storia del calcio, anzi questo approccio è l’essenza stessa del concetto di sport: Roger Federer, per dire, ha perso il 46% dei punti giocati in carriera; Micheal Jordan ha vinto “solo” 6 dei 15 campionati Nba a cui ha preso parte. Eppure sono considerati tra i migliori atleti di tutti i tempi, se non i migliori in assoluto, nelle loro discipline.
La verità è che a Napoli, intorno al Napoli, aleggia un problema molto grave: quello per cui la nostalgia dello Spallettismo – di cui abbiamo già parlato – si mescola con quella per il Sarrismo, un morbo che aveva avvelenato anche l’autunno 2024. E che è tornato a manifestarsi, puntuale come poche cose della vita, in seguito alla partita giocata contro il Como. Di conseguenza, un Napoli che non domina le partite (secondo criteri estetici che, in quanto tali, sono per forza soggettivi) e che non domina il campionato non è un Napoli giusto. Anche se poi vince le partite e/o il campionato. Sembra assurdo, è assurdo, ma da queste parti è così che vanno le cose. Ed è per questo che Conte, alla vigilia di Napoli-Eintracht, ha parlato in certi termini, ha usato frasi fatte come «bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno», si è giustamente risentito.
Conclusioni
Tutta questa filippica non cancella né attenua i problemi manifestati dal Napoli nelle prime gare della stagione. Abbiamo detto degli infortuni, così come abbiamo scritto – ripetutamente – degli equivoci tattici che stanno complicando il lavoro ad Antonio Conte. Eppure, torniamo solo un attimo al concetto iniziale, il Napoli è primo in classifica. Da solo. Se il campionato venisse interrotto oggi, per un qualsiasi catastrofico motivo, un eventuale scudetto a tavolino sarebbe assegnato agli azzurri. Non è poco, non è scontato, non lo è mai. Soprattutto in virtù di tutte le cose di cui abbiamo parlato finora.
Infine, ma non in ordine di importanza, c’è la Champions League. In cui il Napoli è in difficoltà, nel senso che la sconfitta per 6-2 in casa del PSV è stata una brutta botta, ma c’è ancora tutto il tempo per riprendersi. Anzi, l’impegno in Europa deve essere considerato come un’ulteriore, significativa “attenuante” per l’andamento degli azzurri in questa stagione. Come dire: il Napoli è primo in classifica da solo nonostante la Champions League. Una competizione a cui l’anno scorso non partecipava, a cui il Milan – tanto per dire – quest’anno non partecipa. Certo, nel frattempo anche Inter, Juventus e Atalanta giocano il martedì o il mercoledì sera, così come Roma e Bologna in Europa League. Ma tutte queste squadre sono indietro al Napoli. Anche questo non è poco, non è scontato.
Insomma, per chiudere l’analisi: il Napoli 2025/26 è una squadra in transizione, in costruzione, che ha dei problemi tattici ancora irrisolti. E che si ritrova ad affrontare un contesto nuovo, più difficile rispetto a quello della stagione scorsa. Eppure, Conte docet, «continua a essere lì». La verità, quindi, è che dovrebbero essere gli altri, cioè le altre squadre, a chiedersi come andranno le cose se Conte dovesse riuscire a recuperare tutti i giocatori, a risolvere tutti gli equivoci, a trovare la quadra definitiva. Per gli ipercritici in servizio permanente, purtroppo, neanche lui potrà fare nulla.











