Viva la rivalità astiosa tra Napoli e Inter, oggi sono il meglio del calcio italiano
Per Conte, l'Inter è una ferita aperta. E molti interisti hanno un conto in sospeso con lui. Il campionato italiano dei matusa ha bisogno di uno scontro acceso e anche sopra le righe

Ni Napoli 25/10/2025 - campionato di calcio serie A / Napoli-Inter / foto Nicola Ianuale/Image Sport nella foto: Denzel Dumfries-Alessandro Buongiorno
Viva la rivalità astiosa tra Napoli e Inter, oggi sono il meglio del calcio italiano
L’anno scorso era stata l’interazione tra l’allegria contagiosa di Marcus Thuram e la serietà marziale di Scott McTominay: «Smile, it’s beautiful» aveva ironizzato l’attaccante francese, mentre il centrocampista del Napoli, al rientro degli spogliatoi dopo l’intervallo, fissava con cupezza il cerchio del centrocampo.
Era già uno scontro di idee calcistiche differenti, Napoli-Inter: l’ordine tattico contro il talento, la serietà contro la leggerezza.
Prima ancora, dopo l’episodio del rigore conquistato all’andata da Denzel Dumfries per un contatto con Zambo Anguissa, c’era stata la polemica di Antonio Conte a Dazn: «Ma che significa, che significa che il Var non può intervenire? Che significa? È così che si creano i retropensieri».
La lista potrebbe arrivare persino al marzo del 2024, quando Francesco Acerbi fu accusato di aver detto frasi inequivocabilmente razziste nei confronti di Juan Jesus.
Da un po’ di tempo, insomma, tra Napoli e Inter non corre buon sangue. I protagonisti, in campo e fuori, si sfidano con la bava alla bocca. La tensione alimenta i contrasti a tutto campo, l’aria è carica di un campo elettromagnetico speciale, che si presenta solo tra queste due squadre. Napoli e Inter cercano una vendetta continua eppure mai davvero definitiva: le partite di calcio diventano un pretesto per una sfida tra uomini e non solo calciatori.
Per Conte, e lo stiamo capendo come non mai in queste ore, l’Inter è una ferita aperta. Nel 2021 al diciannovesimo scudetto nerazzurro è seguito un addio burrascoso, dovuto alle difficoltà finanziarie di Steven Zhang, che quell’estate fu costretto a cedere Romelu Lukaku al Chelsea e Achraf Hakimi al Paris Saint-Germain.
Già a gennaio del 2022, nelle vesti di allenatore del Tottenham, Conte si lasciò andare a una battuta ingenua ma velenosa: «Vedere l’Inter campione d’inverno fa piacere perché è la continuazione di un lavoro» aveva detto. «Magari tornerò un giorno per provare a ribaltare un’altra volta i pronostici».
Nessun allenatore, infatti, ha segnato i cicli vincenti della Serie A come ha fatto Antonio Conte. Alla Juventus prima, tra il 2012 e il 2015, e all’Inter poi, tra il 2019 e il 2021, Conte ha costruito rose solide e vincenti, che sono durate ben oltre la sua permanenza nei rispettivi club. Dopo di lui, Massimiliano Allegri e Simone Inzaghi hanno alzato ulteriormente l’asticella, raggiungendo nel complesso quattro (!) finali di Champions League. Una beffa del destino.
Nel post-partita di Napoli-Inter, non a caso, Conte si è lasciato andare: «L’Inter è una squadra fortissima, per me in assoluto la più forte, negli scorsi anni ha vinto poco, ha lasciato qualcosa per strada». Come a dire: mica come quando c’ero io.
Infine, come ciliegina sulla torta, c’è stato lo scontro dialettico tra Lautaro Martinez e Antonio Conte. Una battaglia non troppo filosofica, va detto, tra due uomini che difficilmente sanno controllarsi quando sentono l’odore del sangue nemico. «Ti stai cagando sotto» gli mima Lautaro; «Tira, tira su stocazzo» sembra rispondere Conte.
La Serie A è diventata all’improvviso un teatro di strada con uomini fatti e finiti pronti alle più barbare provocazioni. Un clima di astio inequivocabile, che nei giorni successivi ha animato i social delle due tifoserie.
Al di là dei discorsi personali, Napoli e Inter si odiano anche perché, banalmente, sono le squadre più forti degli ultimi cinque anni di calcio italiano. Si sono spartite due Scudetti a testa tra il 2021 e il 2025, con l’unica eccezione del Milan allenato da Stefano Pioli, che nel 2022 ha approfittato del crollo nerazzurro a Bologna.
In un calcio come quello italiano, sempre più subalterno rispetto ai corrispettivi europei, questa acida rivalità venuta a crearsi tra Napoli e Inter appare come l’unica cosa davvero eccitante. Due squadre forti e ambiziose, che scendono in campo l’una contro l’altra come in un film di Sergio Leone, con la solennità di una resa dei conti. Abbiamo visto tutte queste cose sabato pomeriggio: non è stata una partita esteticamente più appagante, ma quella più densa di avvenimenti calcistici.
Conte ha vinto con arguzia la sfida tattica: ha fatto inseguire Barella a uomo da McTominay, messo a disagio Acerbi piazzando Neres nelle sue zolle. È stato un match equilibrato tra due squadre che si rispettavano: il pressing del Napoli ha chiuso le linee di passaggio dell’Inter, che pure in certi momenti ha liberato tutta la sua prodigiosa forza offensiva: nel recupero del primo tempo avrebbe potuto pareggiare e forse lì l’andamento della partita sarebbe cambiato per sempre.
Il Napoli, dal canto suo, ha vinto la battaglia mentale. La panchina ha – consapevolmente o meno , non è dovuto sapere – esacerbato gli animi di una partita già tesa, quando Conte ha detto qualche parola di troppo a Dumfries. C’è stata però anche una forma di spettacolo, in tutto questo caos.
Se siamo il campionato vecchio in cui gli arrivi di Jamie Vardy a Cremona e Raul Albiol a Pisa sono esperienze di lusso per i nostri club, non dovremmo forse goderci la continua sfida al vertice tra due società profondamente diverse?
Sfidandosi con tutta questa partecipazione, Inter e Napoli possono, entro certi contesti, elevare il livello della Serie A. Si potrebbe persino dire che questa rivalità è un «valore» da preservare per il calcio italiano, soprattutto in tempi in cui si tenta di internazionalizzare, con goffi tentativi, il prodotto.
Eppure rimane la sensazione che godersi una sana, per quanto pungente, rivalità sportiva nel Paese in cui si fa la caccia all’uomo per un rigore fischiato, sia pura utopia.











