Spalletti alla Juventus, ovvero basta con la solfa del tradimento: il professionismo non si studia a scuola?
E' mezzo secolo - da Altafini a Sarri - che a Napoli ci facciamo "tradire" con profitto: sempre a reagire offesi, come fosse la prima volta

Napoli's Italian coach Luciano Spalletti celebrates the Scudetto title at the end of the Italian Serie A football match between SSC Napoli and Fiorentina on May 7, 2023 at the Diego-Maradona stadium in Naples. Napoli makes their first appearance in front of their home fans on May 7 since becoming Italian champions for the first time since 1990 when they host Fiorentina. (Photo by Carlo Hermann / AFP)
Spalletti alla Juventus, ovvero basta con la solfa del tradimento: il professionismo non si studia a scuola?
Troppe assenze, troppe feste, troppi ponti. I tifosi del Napoli si sono fermati al “tradimento”. Il “professionismo” era in programma appena dopo le guerre puniche, ma la prof non ha fatto in tempo a spiegarlo. Per cui rieccoci qua, anno nuovo – 2025! – nuovo traditore: Luciano Spalletti alla Juve. Col segno della discordia sulla pelle, il benedetto tatuaggio e tutto il successivo mal che gliene incolse. E’ dall’esonero di Tudor che la litania ha preso a scorrere nelle chat cittadine: lo scudetto sull’avanbraccio, il simbolo dell’amore eterno, trafitto dalla peggio infedeltà di tutte.
E’ uno scatto fisso dei napoletani, ormai: l’orgoglio frodato non ammette giustificazioni. E’ un patriottismo in scala, una piccineria in radice quadrata degli ultimi “sinnerismi” italiani: vinci a Napoli e poi, evidentemente muori, da solo, in un cascinale, a struggerti perché Gattuso t’ha soffiato la Nazionale portandola magari ai Mondiali. Abbiamo visto gente bussare alla comunità di Muccioli per molto meno.
Il professionismo, dicevamo, è invece un lemma di pagina 147 dei libri di testo del perfetto tifoso identitario. Quello che, per capirci, “difende la città” come filosofia di vita (De Magistris ci aprì pure uno sportello dedicato al Comune, magia pura). In questo caso difende il poster in cameretta, che oggi chiamiamo Instagram: gli idoli, osannati e poi falsificati in una trasposizione intima a loro insaputa. Spalletti ha riportato lo scudetto a Napoli? Dopo andava dunque impagliato, fermato in quel suo tempo fugace: un santo, una statua, un padreppìo. “Non avrai altro dio all’infuori di noi”. Con la Nazionale s’era salvato, quella è di tutti. Ma la Juve no: oltraggio al pudore (di tutti un po’).
A questo siamo – ancora una volta – ridotti. Come se nell’ultimo mezzo secolo non fossero già passati di maglia Zoff, core n’grato Altafini, Sivori, Ferrara e Quagliarella, Fonseca e Cannavaro, Zalayeta e Padovano, Higuain, Giuntoli e Sarri. Ogni volta la stessa goffaggine irrisolta, gli stessi argomenti medievali, il senso del ridicolo ormai devastato. Il ditino puntato, i non si fa, i non doveva, l’inquisizione morale. In virtù d’una appartenenza titillata – certo, è un gioco delle parti – dai suddetti totem, ma sempre usata come una coreografia, una quinta di scena. Una grammatica dell’impostura a cui dovremmo essere tutti avvezzi già da un pezzo. Nel mondo degli adulti, pragmaticamente, il calcio a quei livelli è un lavoro, ci si sposta per contratti milionari: ecco un’altra ovvietà che incredibilmente va sottolineata nel 2025.
Spalletti farà come i neonazisti pentiti con le svastiche sul petto: sottrarrà il tatuaggio dello scudetto napoletano agli juventini fino a quando non potrà affiancane uno bianconero, magari una Champions, hai visto mai. D’altra parte la storia, essendo sempre uguale, smentisce puntualmente il vecchio adagio “chi ama non dimentica”: nessuno è più smemorato dei tifosi quando poi si vince per mani altrui. Rif: Antonio Conte e la Juve, pagina 189, dopo il Risorgimento. Andatevelo a ripassare.











