Napoli sta capendo che il cinismo è una virtù

Le grandi squadre non vincono solo giocando bene: vincono perché sanno quando colpire. La terza partita in una settimana, e altri due muscoli che saltano.

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As Napoli 05/10/2025 - campionato di calcio serie A / Napoli-Genoa / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: esultanza gol Rasmus Hojlund

Napoli sta capendo che il cinismo è una virtù

Nel mondo degli algoritmi e dei Demostene da agorà informatiche, anche questa vittoria sembrava già scritta. Scontata, dicevano. Dopo il primo tempo, le filippiche e i tuoni dei commentatori avrebbero convinto pure gli ottimisti più irriducibili che fosse finita lì. Che questa squadra si sarebbe arresa.

Ma in campo, per fortuna, ci vanno i calciatori. E Conte fa l’allenatore, non l’opinionista a gettone.

Il Genoa segna quasi per caso, dopo che Matteo nostro si divora un gol già fatto. Poi, un lampo: l’invenzione di Norton-Cuffy — meravigliosa — con Oliveira al bar e il ragazzino che firma un gol da cineteca. Applausi, certo, ma quanto ci manca Amir! Senza di lui la difesa zoppica, si vede. La terza partita in una settimana pesa: nelle gambe, nella testa, pure nell’inguine del Professore Stani, costretto ad alzare bandiera bianca. Si va al riposo sotto nel punteggio.

Poi la ripresa. E lì si vede la differenza.

Il Napoli torna il Napoli. Alza il ritmo, il baricentro, l’orgoglio. Schiaccia il Genoa come aveva fatto a Milano. Politano si ferma — ancora un infortunio muscolare. E qui una riflessione va fatta, seria: troppi, troppo simili. Non è casualità, è un campanello che suona forte.

Entrano Leo e Kevin, due lampadine accese nel buio. Illuminano il prato. Zambo si rimette in moto, il Napoli diventa una morsa. Fame, intensità, appartenenza. Kevin traduce lo spazio-tempo in un battito di ciglia, Rasmus è tarantolato, GioGio colpisce un palo. Lo stadio cresce, si infiamma. Leali si supera su Zambo, ma Rasmus — la punta che sa fare la punta — è lì. Due passi, un tocco, il gol.

Da quel momento è accademia. È gestione, è calma, è Re che culla la palla per addormentare il recupero.

Non era scontato. La terza partita in una settimana, e altri due muscoli che saltano. Ma oggi, ciò che questa piazza finalmente inizia a capire, è che il cinismo è una virtù. Le grandi squadre non vincono solo giocando bene: vincono perché sanno quando colpire. Perché hanno in campo gente che, in cinque minuti, può cambiare il destino di una partita.
Si chiama forza. Si chiama maturità. Si chiama Grande Squadra.
E poi ci sono loro, De Bruyne e Højlund, che non giocano: incantano.
Parlano una lingua che mescola geometria e sentimento, numeri e intuizione. Kevin disegna, Rasmus traduce; uno inventa la mappa, l’altro trova la rotta.
È un’intesa che ricorda quella di Virgilio e Partenope, il poeta e la sirena: lui che con la mente domava la pietra e il tempo, lei che con la voce risvegliava il mare.
Due forze diverse e complementari — la sapienza e il canto, la ragione e l’istinto — che insieme trasformano la città e la rendono viva, eterna, incomprensibile ai freddi cronometri del calcio moderno.

Così loro: uno pensa, l’altro vibra.

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