Il tennis è stanco ma ipocrita: «La gente pensa che siamo robot», poi scelgono le esibizioni (Le Parisien)

Alcaraz prima si lamenta, e poi va in Arabia. Cerundolo dice che sono dei nomadi, Kasatkina ha chiuso la stagione prima, Sinner dice che si può scegliere.

Alcaraz

NEW YORK, NEW YORK - SEPTEMBER 07: Carlos Alcaraz of Spain looks at his raquet during the match against Jannik Sinner of Italy during their Men's Singles Final match on Day Fifteen of the 2025 US Open at USTA Billie Jean King National Tennis Center on September 07, 2025 in New York City. Maddie Meyer/Getty Images/AFP (Photo by Maddie Meyer / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / Getty Images via AFP)

«La gente pensa che siamo robot». Molti atleti del circuito di tennis si lamentano di un calendario troppo fitto, ed il Masters 1000 di Parigi giunge al termine di una lunga stagione.

Le Parisien ne ha parlato con i protagonisti:

Gli atleti dell’Atp e della Wta conducono un’esistenza da nomadi, tra camere d’albergo, lounge dei giocatori, campi e aeroporti, in un copione che si ripete instancabilmente ogni settimana. « Passiamo molto tempo lontani da casa », spiega l’argentino Francisco Cerundolo. «La gente pensa che i tennisti siano dei robot, che entrano in campo solo per giocare, ma fuori abbiamo anche noi una vita, con la famiglia, gli amici…».

A inizio ottobre, l’australiana Daria Kasatkina, oggi numero 38 del mondo dopo aver iniziato l’anno al 9º posto, ha deciso di chiudere in anticipo la stagione 2025. « Ho bisogno di una pausa », ha scritto l’ex russa. « Una pausa dalla routine monotona del circuito, dalle valigie, dai risultati, dalla pressione, dagli stessi volti (scusate, ragazze). Mentalmente ed emotivamente ho raggiunto un punto di rottura, e purtroppo non sono l’unica… »

L’ipocrisia di Carlos Alcaraz nel mondo del tennis

Il quotidiano continua:

Per molti, il problema si riassume in due parole: calendario sovraccarico. E, per estensione, l’obbligo di giocare sempre di più per mantenere la classifica o scalare posizioni. « Il numero di partite che dobbiamo giocare è troppo alto », ha detto Carlos Alcaraz, irriconoscibile martedì nella sconfitta contro Norrie. « Bisogna fare qualcosa. » Il numero 1 del mondo è però un perfetto esempio di paradosso e ipocrisia. Infortunato alla caviglia durante la vittoria a Tokyo e costretto al forfait a Shanghai, il murciano è partito a contare i dollari in una lucrosa esibizione in Arabia Saudita. Il 7 e l’8 dicembre, in pieno periodo di preparazione, giocherà negli Stati Uniti contro Tiafoe e poi Fonseca.

«Oggi c’è una corsa senza fine tra i giocatori che vogliono sempre di più, e parlo di soldi», osserva Escudé, oggi commentatore per Eurosport. «L’obbligo di fare tornei, la caccia ai punti, è un falso problema. Quando Alcaraz dice che non ha tempo, il tempo può trovarlo. È evidente che certe scelte vengono fatte, basta guardare i tabelloni di Toronto, Montréal o Shanghai.» Novak Djokovic, che ormai ha il lusso di fare ciò che vuole, da tempo chiede una riforma, ma il serbo denuncia anche la mancanza di coesione e coerenza. «Si può sempre scegliere di giocare meno. Alcuni si lamentano ma poi partecipano alle esibizioni», critica l’ex re del circuito. «È contraddittorio.»

Sinner: «A volte bisogna saper rinunciare»

Dello stesso avviso sul circuito di tennis Jannik Sinner (aiutato da tre mesi di pausa forzata tra febbraio e maggio per sospensione). «A volte bisogna saper rinunciare», assicura l’italiano, che ha fatto discutere sulla decisione di disputare la fase finale di Coppa Davis in patria. «L’unico vero peggioramento», insiste Escudé, «sono i Masters 1000 estesi su dodici giorni invece di una settimana (sette su nove nel calendario, con le sole eccezioni di Nanterre e Montecarlo). Per chi arriva fino in fondo — e sono spesso gli stessi — equivale a sette settimane supplementari di circuito. E per chi è appena sopra la soglia d’ingresso, l’obbligo di andarci toglie la possibilità di scegliere tornei più interessanti dal punto di vista sportivo.»

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