Con Pogacar il ciclismo torna alle origini: scattare, distanziare, vincere. Ha numeri che nemmeno Merckx (El Paìs)

Sabato, al Lombardia, potrà superare il record di Fausto Coppi: quattro edizioni consecutive del “Monumento delle foglie morte”

Pogacar

Winner Slovenia's Tadej Pogacar celebrates during the podium ceremony of the men's Elite Road Race cycling event as part of the UCI 2024 Road World Championships, in Zurich, on September 29, 2024. (Photo by Fabrice COFFRINI / AFP)

«Estoy en la Luna», dice Tadej Pogacar coperto dai colori d’Europa, il suo arcobaleno mondiale ora velato di stelle azzurre. E viene da rispondergli: no, Tadej, non sei sulla Luna. Sei più in alto, tra le stelle — e lì, in quel vuoto siderale, vaghi da solo, un nomade che nessuno può raggiungere. Da Ruanda all’Ardèche, ogni volta che la sua Colnago si alza da terra pare illuminare il mondo: gli altri restano ancorati all’asfalto, anche Remco Evenepoel, il più forte se non esistesse Pogacar, rimane giù, fatto di fibre e carbonio, titanio e muscoli, ma prigioniero della gravità che l’altro ha abolito. Lo scrive El Pais

Remco Evenepoel impallidisce di fronte allo sloveno

Remco Evenepoel, così bravo, così unico fin da ragazzo — dai 18 anni —, impallidisce di fronte allo sloveno di 27 che ha trasformato la follia in metodo. È la sua formula, marchio di fabbrica made in Pogacar: non più un capriccio di chi teme solo di non vincere, né la risposta a un impulso irrefrenabile. Attacchi a oltre 100 chilometri dal traguardo negli ultimi due Mondiali, e poi 60 o 70 chilometri da solo, come negli 81,1 chilometri delle Strade Bianche 2024 — il suo record — o nei 76 dell’ultima domenica lungo il Rodano, quando ha vinto il suo primo titolo europeo su un percorso tanto duro che solo 17 corridori su quasi 100 lo hanno portato a termine, e Pogacar lo ha chiuso a 40 all’ora di media.

Il ciclismo di Pogacar? Il più forte attacca, stacca tutti e vince

In quel territorio lunare, dove nessuno osa seguirlo, il ciclismo torna alla sua origine: il più forte attacca, stacca tutti e vince. Pogacar restituisce al suo sport la semplicità dei tempi mitici, ma con la consapevolezza di un’epoca ipertecnologica, dove ogni watt è misurato e ogni grammo è calcolato. Come i grandi della pittura — Picasso, Velázquez, Caravaggio — Pogacar non imita, crea. Le sue vittorie hanno uno stile inconfondibile, riconoscibile al primo sguardo. Due Tour, un Giro, due Mondiali, due Liegi, due Lombardie, un Fiandre. Nel 2024 ha vinto nel 44% dei giorni in cui ha corso, nel 2025 sarà al 40%. Numeri che nemmeno Merckx, il Caníbal, ha toccato: 23% di vittorie nei suoi anni migliori, contro il 39,2% dello sloveno. Eppure non serve contare. Perché Pogacar, come Picasso, non si misura: si guarda, si contempla.

Coppi o Pogacar? E’ come chiedere È più grande Picasso o Velázquez?

Sabato, al Lombardia, potrà superare il record di Fausto Coppi: quattro edizioni consecutive del “Monumento delle foglie morte”. Ma ormai non si parla più di capolavori alla Merckx o alla Coppi: si parla di opere alla Pogacar. Di un’arte che nasce dal disordine e lo trasforma in armonia, nel peloton più denso, scientifico, professionale della storia. È il più grande di sempre? Forse. Ma forse la domanda è sbagliata. È più grande Picasso o Velázquez? La grandezza non si pesa, si sente. Intorno a lui cresce un firmamento di giovani inseguitori. Remco, Ayuso, e ora Paul — o Paulo — Seixas, francese di origini portoghesi, 19 anni e già terzo all’Europeo dopo Pogacar ed Evenepoel. Un ragazzo che studia Agostinho e Rui Costa, che sogna di spezzare i 40 anni di digiuno francesi al Tour, e che al Col de Rates, tempio del duello tra Pogacar e Ayuso, ha già inciso il suo nome tra i primi cinque.

Gli anziani del ciclismo gli predicano pazienza, «pasito a pasito». Ma poi basta un colpo di pedale di Pogacar e tutta la saggezza vola via. Perché le stelle sono lì, sopra di lui, e gli altri, inevitabilmente, restano a guardare.

Correlate